lunedì 20 aprile 2015

L'Italia ed il Totalitarismo rovesciato. Modelli economici.



Quando e come l’economia e la finanza sono diventate la mano invisibile delle politiche pubbliche?

Quale modello economico abbiamo oggi?

Ma, sopratutto, a cosa servono veramente l'Austerity e la Spendind review? 

Per capirlo dobbiamo fare un salto indietro, ovvero dobbiamo andare ad analizzare, seppur sinteticamente, i modelli economici che si sono succeduti, nell’ambito ovviamente dell’alleanza occidentale, a livello internazionale e nazionale.










IL CAPITALISMO ESPANSIVO
(1944-1979)









IL LIBERO MERCATO
(1979-1992)






IL CAPITALISMO FINANZIARIO
(1992-2001)







I DERIVATI
(2001-2008)






IL CAPITALISMO ULTRA-SPECULATIVO
(2008-2015)




Trascrizione dei video.




Nel primo video abbiamo visto che una delle caratteristiche fondamentali del totalitarismo rovesciato è che l’economia e la finanza dominano sulla politica e, conseguentemente, la guidano. 

Ma quando e come ciò è avvenuto?

E soprattutto, quando e come l’economia e la finanza sono diventate la mano invisibile delle politiche pubbliche?

Per capirlo dobbiamo fare un salto indietro, ovvero dobbiamo andare ad analizzare, seppur sinteticamente, i modelli economici che si sono succeduti, nell’ambito ovviamente dell’alleanza occidentale, a livello internazionale e nazionale.

Per fare questa disamina mi avvarrò anche di quanto appreso dalle lezioni e dai libri del prof. Nino Galloni, economista non solo di straordinaria bravura (ricercatore presso l’Università di Barclay, ha insegnato all'Università Cattolica di Milano, all'Università di Modena, alla Luiss e all'Università degli Studi di Roma) ma anche protagonista, o sarebbe meglio dire spettatore privilegiato, vedremo poi perché, della politica economica del nostro paese. Infatti il prof. Galloni ha ricoperto, dal 1979 in poi, diversi incarichi e ruoli ai ministeri del Bilancio e del Lavoro.

Per capirlo, dicevo, dobbiamo analizzare i principali modelli economici che si sono succeduti in ambito internazionale e nazionale.

Il primo modello va dal ’44 (accordi di Breton Wood) al 1979 (G7 di Tokyo).

I due pilastri della politica di Breton Woods riguardavano:

- la moneta
- La governance, ovvero la bilancia dei pagamenti e quella commerciale di uno Stato, spiegheremo poi cosa si intende.

Per quanto concerne la moneta possiamo dire sinteticamente, ma chi volesse approfondire può leggere il libro del prof. Galloni Moneta e società (slide della copertina del libro), che a Bretton Woods si scontrano due tesi, o idee, o posizioni, come dir si voglia.

Da un lato l’economista inglese Keynes, uno dei geni del ‘900.

Keynes, ricordiamolo, era già stato componente della delegazione ufficiale inglese alla conferenza di pace di Versailles alla fine della prima guerra mondiale e, ora non entriamo troppo nel dettaglio, viste le politiche economiche folli e pericolose che i paesi vincitori volevano imporre con quel trattato, dopo aver tentato invano di portare un po’ di ragionevolezza, aveva rassegnato le sue dimissioni denunciando in un libro tutta la sua preoccupazione per un trattato di pace che, nei fatti, si era trasformato in un baratro politico ed economico per l’Europa. Il libro, ristampato, è estremamente interessante e lo consiglio, si intitola "Le conseguenze economiche della pace", leggiamone un passo: 

Il trattato non comprende alcuna clausola che miri alla rinascita economica dell’Europa, nulla che possa trasformare in buoni vicini gli imperi centrali sconfitti, nulla che valga a consolidare i nuovi stati dell’Europa... Se noi contrastiamo, passo per passo, ogni mezzo per il quale la Germania o la Russia possono riacquistare il loro benessere materiale, solo perché nutriamo un odio nazionale di razza o politico per le loro popolazioni o per i loro governi, dobbiamo anche prepararci a fronteggiare le conseguenze di tale sentimento...Vi sono altri argomenti, che anche il più ottuso non può ignorare, contro una politica che tenda ad allargare e ad incoraggiare ancor più la rovina economica di grandi paesi... Se noi miriamo deliberatamente all’impoverimento dell’Europa centrale, la vendetta, oso predire, non tarderà.

Keynes allora non venne ascoltato, e l’Europa precipitò nuovamente, e a distanza di pochi anni, nel secondo conflitto mondiale.

A Breton Wood, dicevamo, per quanto concerne la moneta si scontrano due posizioni:

-          Da un lato la posizione sostenuta dall’inglese Keynes che proponeva, spieghiamo sinteticamente, introdurre una moneta di conto internazionale, una moneta internazionale dunque, in modo da consentire ai vari paesi di gestirsi le proprie valute e, poi, attraverso un meccanismo di compensazione degli scambi internazionali che dovevano essere saldati in bancor (così si chiamava la sua moneta) doveva consentire una maggiore prospettiva di sviluppo dei vari paesi.

-          Dall’altro lato la posizione, o tesi, dell’americano White che prevedeva un dollaro agganciato all’oro ad un cambio fisso, ovvero 35 dollari per oncia di oro, nonché la possibilità, per i non residenti, di convertire le loro valute che potevano, essendo agganciate all'oro con un determinato cambio, ed entrare a far parte delle riserve. Come sappiamo prevalse la posizione di White, e si ritiene che Keynes sia morto per questa sconfitta.

Questo primo pilastro durò sino al ‘71, quando il presidente americano Nixon riconobbe che non c'era alcun legame della moneta con l’oro, ovvero che le riserve aure, in realtà, non erano sufficienti a coprire l’emissione che era stata fatta di dollari.  

Il secondo pilastro degli accordi di Bretton Woods riguardava la c.d. governance.

Facendo tesoro del disastro compiuto con i trattati di pace alla fine della prima guerra mondiale, gli accordi, questa volta, prevedevano un sistema economico capitalista definito solidaristico, o espansivo o Keynesiano. In che cosa consisteva questo modello? Fondamentalmente in due punti cardine:

1. Se un paese doveva dotarsi di una capacità industriale veniva aiutato dalla Banca mondiale o il fondo monetario, che prestavano soldi, anche a fondo perduto, per permettere a quel paese di dotarsi di un apparato industriale adeguato.

2. Se un paese era debole perché importava troppo (ricordiamo che esportare significa maggiore occupazione, se io esporto molto devo produrre e per produrre devo assumente. Mentre, al contrario, importare significa disoccupazione) gli si consentiva, per riequilibrare la bilancia commerciale, ovvero l’import – export, di svalutare la propria moneta. Svalutando la moneta infatti, il paese debole otteneva un vantaggio competitivo sulle altre nazioni per quanto concerneva le esportazioni, ovvero i suoi prodotti costavano meno e questo gli permetteva una ripresa delle esportazioni e, quindi, una ripresa della produzione e dell’occupazione.
Viceversa, visto che veniva considerato uno svantaggio per l’equilibrio di questo modello economico anche essere troppo forte, il paese forte doveva rivalutare la proprio moneta. La rivalutazione della moneta aveva l’effetto di ridurre le esportazioni ed aumentare le importazioni e, così, aiutare il paese debole.

Questi gli accordi sulla governance che, nel 1979, il G7 di Tokyo cancellerà completamente. Ma ci torneremo.

Prima, però, cerchiamo di capire come questo modello capitalistico funzionasse all’interno delle nazioni.

Sinteticamente si può dire che si basava sulla c.d. regola aurea di Cambridge, la quale prevedeva che ci fosse una distribuzione dei guadagni di produttività verso tre soggetti:

1. Il primo di questi soggetti erano i lavoratori, che partecipano alla spartizione dei profitti e dei guadagni di produttività. Questo permetteva loro di fuoriuscire dalla condizione di proletari e li spingeva verso la classe media. L’obiettivo era quello di scongiurare quei movimenti rivoluzionari tanto temuti. Infatti, se i lavoratori guadagnavano dal prodotto, ovvero se non si sentivano fruttati, (ricordiamo i lavoratori a cottimo, i crumiri, il padre padrone che sfrutta, la classe operaia, ecc.), non avevano motivo di rivoltarsi perché ottenevano, attraverso l’economia, quello che altrimenti, si temeva, avrebbero potuto cercare di conseguire attraverso una rivoluzione.

2. Il secondo soggetto che partecipava alla distribuzione dei guadagni di produzione era lo Stato attraverso la tassazione. Grazie a queste risorse lo Stato poteva destinare di più alla scuola, al welfare, alla sanità, ai trasporti, ecc. con la conseguenza di sgravare le famiglie da questi costi e permettere un’espansione dei consumi.

Ma non solo.

Queste maggiori entrate servivano allo Stato anche per svolgere una funzione equilibratrice dell’economia che si basava sull’aumento della spesa pubblica.

Spieghiamo sinteticamente in che modo.

Quando c’era un periodo di crisi e la domanda calava, con la conseguenza che i magazzini si riempivano e le aziende dovevano ridurre la produzione, lo Stato interveniva principalmente in due direzioni: da un lato attraverso degli ammortizzatori sociali, il più importante dei quali era la cassa integrazione straordinaria; dall’altro aumentando la spesa pubblica per sostenere il reddito e far ripartire la domanda.

Che cosa succedeva nei fatti. Le aziende, con i magazzini pieni dovevano ridurre la produzione, che voleva dire ridurre i lavoratori, ossia licenziare. A questo punto lo Stato interveniva e diceva: aspetta, io metto i lavoratori in esubero in cassa integrazione, nel frattempo aumento la spesa pubblica per sostenere il reddito e così far ripartire la domanda dei prodotti. Una volta ripartita la domanda e, conseguentemente, la produzione, i lavoratori in cassa integrazione straordinaria rientrano nel ciclo produttivo.

Ecco come, grazie all’aumento della spesa pubblica lo Stato poteva intervenire e riequilibrare l’economia del paese.

3. Il terzo soggetto che partecipava alla distribuzione dei guadagni di produzione era il capitalista/proprietario delle aziende. In questo modello, però, il profitto corrente del proprietario non era alto, ma basso. Però, se da un lato il proprietario aveva lo svantaggio di un profitto corrente basso, dall’altro aveva il vantaggio che la sua proprietà aumentava di valore. Perché?  Perché il valore di un bene, in particolare di un'impresa, dipende dai suoi redditi futuri, e i suoi redditi futuri dipendono dalle vendite, e le vendite venivano massimizzare con questo sistema. Quindi, quello che il proprietario perdeva in termini di redditività, nel senso di rendimento corrente del suo investimento, lo recuperava in termini di aumento del valore della sua proprietà. In altri termini, quando lui vendeva la sua azienda, la vende bene.

Come si vede questo modello soccorreva tutte le classi sociali:

-          i lavoratori miglioravano la loro condizione ed abbandonavano i propositi rivoluzionari;
-          la classe media veniva sgravata, almeno parzialmente, delle spese principali (l'istruzione dei figli, sanità e trasporti, ecc…),  con la conseguenza che, potendo destinare una parte maggiore del proprio denaro al consumo, migliorava la propria condizione;
-          il proprietario aveva un profitto, seppur basso, e aumenta il valore della sua azienda.

Come si può notare, questo modello capitalistico guardava al 100% al bene reale e, quindi, alla economia reale.

In questo modello, certo, il capitalista/proprietario era un po’ messo da parte, sia nell’impresa che nella società e il mercato, e questo è un punto fondamentale, aveva una funzione strumentale nella società, cioè aveva la necessità, per operare, di essere supportato dallo Stato e dalla comunità internazionale.

Perché a Bretton Woods si opta per questa economia solidaristica?

In primis perché, da un lato, erano ancora recenti nella memoria gli errori commessi a Versailles il cui trattato non prevedeva, come ricordato sopra dalle parole di Keynes, alcuna clausola che mirasse alla rinascita economica dell’Europa … ma anzi, prevedeva una politica che tendeva ad allargare e ad incoraggiare ancor più la rovina economica di grandi paesi”. 

Ed, in secundis, perché, proprio a seguito degli orrori della seconda guerra mondiale c'era la consapevolezza che agli umani non si possono applicare le stesse regole che si applicano agli animali dove, in base alla selezione naturale, le specie si selezionano o si estinguono. Cioè, si era sviluppata la consapevolezza che gli umani, anche in condizioni di estrema miseria, vanno aiutati, non eliminati. Modello che poi verrà abbandonato a favore del libero mercato in cui, come vedremo, il più forte è libero di schiacciare il più debole e farlo scomparire.

Questo modello capitalista c.d espansivo comportò però che, da un certo momento in poi, i consumatori, ovvero le classi medie che uscite dal bisogno avevano migliorato le loro condizioni di vita, iniziarono a diversificare i propri gusti e, conseguentemente, la propria domanda in fatto di prodotti.

Cioè si passò da un mercato del produttore ad un mercato del consumatore.

Pensiamo nell'ambito dell'abbigliamento o delle auto, nei documentari degli anni ’50-60 si vedevano tutti in 500, in lambretta. Migliorando la propria condizione il consumatore inizia a chiedere prodotti diversificati. Questa diversificazione colpì ovviamente l'impresa, ovvero spiazzò le grandissime imprese che basavano nella spesa e nell'investimento la propria crescita, dove: aumentava la domanda, aumentavano i consumi, si doveva produrre di più e quindi si assumeva. Questa diversificazione nella domanda, invece, andò a frammentare l’organizzazione produttiva. Ma la frammentazione nell’organizzazione dell’azienda produce, come conseguenza, anche una frammentazione nella domanda di lavoro. Dalle catene di montaggio, con la richiesta di operai semplici, si passò così ad una richiesta di lavoro qualificato e specializzato.

La conseguenza di questa diversificazione quale fu? Fu che nei periodi di crisi, anche se lo Stato si attivava, come abbiamo visto, attraverso l’aumento della spesa pubblica per sostenere il reddito e far riprendere la domanda, le imprese, vista la diversa produzione, che non era più da catena di montaggio ma diversificata, non riassumevano quegli operai semplici che erano stati messi in cassa integrazione straordinaria, perché avevano bisogno di figure diverse, di operai specializzati. L'unica strada era quindi quella di prepensionare i lavoratori in cassa integrazione, con grande spesa per la collettività.  

Oltre a ciò il consumatore incominciava a domandare prodotti di importazione. Ed questo cosa comportava? Comportava che l'aumento della spesa pubblica sosteneva sì il reddito, ma questo reddito non andava a domandare prodotti interni, che facevano aumentare la occupazione interna, ma prodotti esteri che facevano ad aumentare l'occupazione in altri paesi.

Il modello capitalista espansivo, quindi, andò in crisi.

Questa crisi dell'economia poteva essere affrontata. Si potevano trovare, ad esempio, degli strumenti per riqualificare il lavoratore. Ma questo non venne fatto. Anzi, questo modello venne pesantemente attaccato perché, si disse, alle mutate condizioni non era più in grado di riassorbire la disoccupazione. Lo Stato ed il suo controllo sull’economia, in altri termini, venne visto come il principale artefice del periodo di crisi e della disoccupazione.

A livello internazionale si impose, così, un modello economico basato sulla deregulation, ovvero deregolamentazione. Modello sostenuto fortemente da Margaret Thatcher e Ronald Reagan.

Secondo questo modello i governi e gli Stati devono abbandonare il controllo esercitato sull’economia e lasciare al mercato questa funzione perché, se lasciato libero di operare, il mercato libero, ovvero il libero mercato, sarebbe in grado di autoregolamentarsi. Infatti, senza i limiti e le regole imposte dallo Stato, secondo questa visione dell’economia, vi sarebbe stata maggior concorrenza, maggior produttività, maggior efficienza, costi inferiori per le imprese e, in generale, prezzi più bassi.

Una teoria, quella del libero mercato, che, al posto di una spiegazione in termini economici, offre un miracolo, ovvero un’armonia naturale di interessi egoistici dettata da una mano invisibile. Comunque, questo modello, questo supposto miracolo, si impose a livello internazionale con la conseguenza che il modello solidaristico venne abbandonato.

Come avvenne questa trasformazione? Ovvero, come si passò dal modello solidaristico a quello del libero mercato?

Principalmente attraverso tre passaggi.

1. Il primo passaggio avvenne attraverso le banche, che iniziarono a farsi concorrenza tra di loro per il controllo dei depositi e dei conti correnti. Fino agli anni 70, infatti, i depositi, e soprattutto i conti correnti, non avevano remunerazione nel mondo anglosassone. Negli anni ’70 iniziarono a concedere tassi di interesse sui depositi e conti correnti. Questo portò i proprietari a pretendere dalle proprie aziende un maggiore profitto corrente. Infatti il proprietario cosa disse: Se il profitto corrente del mio prodotto è 3%, ma investendo il mio denaro in banca io guadagno il 6%, io disinvesto dalle attività produttive ed investo il mio denaro in banca. 

2. Il secondo passaggio avvenne con gli accordi di Tokio del 1979. Si abbandonò la politica solidaristica e si disse: da ora in avanti ogni paese è responsabile della propria economia, ovvero il paese forte non soccorrerà più il paese debole con i meccanismi introdotti da Bretton Woods e che abbiamo visto prima. 

Quindi, il paese debole, se non può svalutare e non riceve più aiuti, come fa a riequilibrare la sua economia? 

Deve invogliare gli investitori ad acquistare i suoi titoli di debito, ovvero deve richiamare i capitali. 

E come può farlo? Aumentando i tassi di interesse sui titoli. 

Però, aumentando i tassi di interesse che deve pagare sui capitali ha meno risorse da utilizzare all’interno del paese e, dunque, si indebolisce ulteriormente. Infatti se il paese è debole perché non esporta, perché non ha le capacità innovative e tecnologiche di altri, se aumenta il tasso d'interesse, ha meno risorse da impiegare nel paese per fare investimenti nell’innovazione tecnologica e, quindi, sarà meno competitivo, avrà meno occupazione e diventerà più debole. 

Viceversa il paese forte, che abbandonata la politica solidaristica non deve più rivalutare la propria moneta, non ha nessun interesse ad aumentare il tasso di interesse, anzi, lo riduce e, riducendo il tasso d'interesse, il paese forte si rinforza ancora di più perché avrà più soldi per poter fare tutta una serie di investimenti in innovazione tecnologica divenendo ancora più competitivo sul mercato.

Dunque, da un modello solidaristico si passò ad un modello che, nei fatti, rendeva il forte più forte ed il debole più debole. Ma tutti i modelli che rendono il forte più forte, ed il debole più debole sono modelli distruttivi, perché la solidarietà, contrariamente a quello che, purtroppo, si pensa oggi, è una forza cruciale l'economia. Perché è attraverso la solidarietà che il forte, anche privandosi di risorse per aiutare il debole, consente al debole di galleggiare, con la conseguenza che anche tutta l'economia ne risente positivamente. Infatti il modello precedente, basato sulla solidarietà durò 35 anni, mentre questo modello, basato sui tassi di interesse, durerà solo 12 anni. Poi ci sarà il crollo del sistema monetario europeo, perché i forti sono diventati troppo forti e deboli troppo deboli.

3. Terzo passaggio cruciale è il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia, vediamo perché.

Sino all’82 il tasso di interesse sui titoli di debito pubblico veniva deciso dal Ministero del Tesoro che, con questa funzione, fungeva anche da regolatore dell’economia. Perché? Perché quando il governo o lo Stato hanno bisogno di moneta emettono i titoli del debito pubblico. Quando il tasso di interesse veniva deciso dal Tesoro questi decideva per un tasso di interesse basso, in realtà si trattava di un tasso ad interesse negativo, perché il tasso d'interesse era sotto il livello di inflazione quindi, in realtà, era un finto debito.

Non entro nel meccanismo specifico, perché appesantirebbe un video già di per sé impegnativo.

L’importante è capire che, grazie al fatto che il tasso di interesse sui titoli di debito lo decideva il tesoro ed era basso, con questo finto debito lo Stato finanziava gli investimenti, eccetera.

Nell’82 tutto cambia. Con il c.d. divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro a decidere i tassi di interesse sarà il mercato. Questo a cosa porta? Che lo Stato emette i titoli di debito ma se questi, a quel tasso di interesse basso, non vengono acquistati, per invogliare gli investitori, e poter ottenere il denaro necessario, i tassi devono venire aumentati. Se lo Stato deve pagare più interessi è ovvio che ha meno denaro per poter fare gli investimenti nel paese. E’ questo il motivo principale per cui il debito pubblico raddoppia negli anni ’80, perché a causa dell’aumento del tasso di interesse ci vogliono più risorse per fare quello che prima si faceva con meno.

L’economista Nino Galloni, a quel tempo funzionario al ministero del Bilancio, quando si decise questo divorzio calcolò il costo di questa operazione e andò a parlare con il Ministro esponendogli il problema. Secondo i suoi calcoli, che poi si riveleranno corretti, non solo ci sarebbe stato un innalzarsi vertiginoso del debito pubblico con conseguente disoccupazione giovanile oltre il 50% ma, quel tipo di politica monetaria ed economica, avrebbe distrutto migliaia di piccole imprese. La risposta che ricevette fu sorprendente: ma è quello che vogliamo, noi le vogliamo distruggere perché sono inefficienti e, quindi, vogliamo applicare all’ economia, attraverso lo strumento del mercato e della finanza, una logica di soppressione del più debole. In altri termini, abbandonata la politica solidaristica, si abbraccia la teoria darwiniana in cui il più forte può distruggere il più debole e il mercato si trasforma da “strumento” a “regolatore” dell’economia.

E con il mercato regolatore dell’economia cosa succede? Succede che l’aumento vertiginoso dei tassi di interesse, porta, come accennavamo prima, i capitalisti/proprietari delle aziende a volere un profitto almeno pari al tasso di interesse. Infatti, per il capitalista/proprietario, più è alto il tasso di interesse e meno è interessante investire nello sviluppo. Perché deve investire nello sviluppo dell’azienda se il profitto corrente è del 3% quando, se investe in obbligazioni, il suo profitto è del 7%?

La conseguenza all’interno della società dell’aumento dei tassi di interesse è, quindi, che si ferma lo sviluppo e si ferma l’occupazione, mentre i capitalisti/proprietari riguadagnano potere e liquidità perché diversificano il loro investimento, ovvero investono, secondo un calcolo sempre del prof Galloni che prese in esame un certo numero di grandi aziende, un 50% in attività produttive ed un 50% in obbligazioni. Quindi l’investimento diventa per il 50% legato all’economia reale e per il 50% in obbligazioni.

Questo tipo di modello, dopo aver fatto numerosi disastri in termini di sviluppo, occupazione, ecc.., crolla nel ’92.

Va giù il sistema monetario europeo, vanno giù i tassi di interesse. Che succede? Si torna ad investire nell’economia reale? Nello sviluppo? No. Perché investire nell’economia reale, ovvero nelle aziende, se si può guadagnare di più e prima in modo diverso?

Oltre a ciò vi erano i grandi investitori istituzionali (es. i fondi pensione) che, nel periodo di tassi di interesse alti, si erano impegnati a garantire una redditività alta, diciamo del 7%, impegno che dovevano mantenere. E allora che fare? Visto che i tassi di interesse sono bassi, è più facile ottenere un prestito dalla banca e, con quei soldi, e fare operazioni speculative in borsa. Si forma così un nuovo capitalismo, ovvero il capitalismo finanziario.

Come funzionava il capitalismo finanziario?

Quando crollano i tassi di interesse chi ha grandi capitali si riversa sul mercato finanziario. Chi ha grandi capitali, ovviamente, non acquista piccole quantità di azioni, ma un numero tale da poter controllare le stesse aziende a cui, ovviamente, chiede un profitto del 7%.

A causa di questo, negli anni ’90, accadono due fenomeni devastanti per l’economia e per la cultura.
Il primo è che si impone la redditività ad un tasso di profitto del 7%, che nei comparti innovativi e nuovi è facile da realizzare, ma nell’80% circa dell’economia, che sono produzioni tradizionali, è impossibile. E come si fa ad avere dall’80% dell’economia una redditività impossibile? Si riduce l’occupazione di più di quanto non si riduca la produzione così da far crescere i profitti. Dunque cresce la redditività, è vero, ma i costi, a livello sociale, sono altissimi: prepensionamenti costosissimi, o licenziamenti di massa, o minore occupazione.

Ma non solo. Visti i licenziamenti in massa, cala anche la produzione. E allora come si fa? Si cominciano ad importare prodotti a basso prezzo dalla Cina e dall’India grazie a nuovi accordi internazionali che non creano più barriere all’entrata. Perché i prodotti che si importano sono a basso prezzo? Perché vengono prodotti a basso costo da quelle aziende che non devono rispettare le norme ambientali e sanitarie. Protezioni che per le aziende sono un costo e che abbassano la redditività. Protezioni che nel nostro paese ancora ci sono, proprio grazie alla vecchia e tanto vituperata economia solidaristica, mentre in altri paesi no. Così si iniziano ad importare prodotti dall’estero dove viene premiato il produttore peggiore, quello che inquina e non garantisce le tutele sanitarie.

Questo viene deciso perché altrimenti questo nuovo modello economico non aveva un suo utilizzo interno. Perché? Perché se non si fossero potuti importare prodotti da paesi dove questi costavano meno, i prezzi sarebbero aumentati.  

Questo è il classico capitalismo finanziario, un modello in cui si deve ridurre l’occupazione più di quanto non si riduca la produzione e che, per mantenere un’alta redditività, deve permettere l’importazione di prodotti da paesi esteri che sono a basso costo perché le aziende possono non rispettare le norme sanitarie ed ambientali e che, dunque, premia le aziende peggiori.

Dicevamo che il capitalismo finanziario produce due effetti devastanti per l’economia e la cultura. Il primo è quello appena evidenziato.

Il secondo è che, con l’economia solidaristica, i capitalisti/proprietari percepivano il profitto del loro prodotto alla fine del ciclo produttivo, che poteva essere anche pluriennale e, quindi, i rischi rimanevano in capo al proprietario (crisi, aumento dei costi, aumenti salariali, ecc..).

In altri termini, il capitalista/proprietario, a fronte di un investimento nell’azienda ed assumendosi il rischio, alla fine del ciclo percepiva un profitto. Con il nuovo modello, invece, il rendimento dell’investimento, ad esempio il 7%, viene definito all’inizio, quindi il rischio, che comunque permane, viene scaricato sulla società. Inizia, cioè, una cultura dell’irresponsabilità. Facciamo un esempio per rendere più chiaro questo passaggio fondamentale.

Abbiamo parlato nel primo video delle privatizzazioni. Una delle aziende che in quel periodo viene privatizzata è la Nuova Pignone che fa parte dell’Eni. L’azienda viene privatizzata con la motivazione che non fa parte della mission dell’Eni, seppur un’azienda che costruisce turbine potrebbe avere un suo perché all’interno di una società che lavora nel campo energetico. Comunque, presidente del consiglio Carlo Azeglio Ciampi, se ne decide la vendita, e si decide di vederla alla General Elettric.

Ma attenzione, perché la Nuova Pignone non è un’azienda qualsiasi, ma è leader mondiale nel capo delle turbine. Ovvero è un’azienda che, grazie alla ricerca, all’innovazione e all’innovatività dei suoi prodotti, ecc. ecc., riesce a mantenere grandi quote di mercato internazionale.

Viene ceduta, dicevamo, alla General Elettric, che non è propriamente un’azienda industriale, è semplicemente una controllata da grossi azionisti ai quali non interessa nulla delle turbine, ma interessa che l’azienda acquisita produca un profitto del 7%.

E così la General Eletric dice alla Nuova Pignone: siete bravi, siete leader, avete innovato, non ci importa nulla, dovete fare il 7%, quindi dovete ridurvi, licenziare la mano d’opera più qualificata, ecc. insomma, alla fine, chiudere l’azienda con 3200 persone in cassa integrazione. Ecco, dunque, che gli azionisti, per avere una redditività del 7%, hanno spremuto l’azienda sino a che questa, grazie agli investimenti fatti in passato, ha potuto dare una redditività del 7%, poi hanno venduto le azioni e sono andati ad investire in altri comparti. E i rischi di questa operazione? Ovviamente sono sono stati scaricati sulla società con i licenziamenti, la cassa integrazione ecc. Ecco come funzionava il capitalismo finanziario. Ma naturalmente funzionava così, il capitalista/proprietario ha interesse al profitto, non al bene comune, all’innovazione o altro.

Modello anche questo distruttivo e che, come tutti i modelli distruttivi, dura poco, pochissimo, 9 anni e crolla nella primavera del 2001.

Cosa si fa? Si torna ad un modello economico sostenibile? No, si peggiora ulteriormente la situazione. Infatti cosa avviene?

Alla fine degli anni ’90 le banche, che avevano riconquistano la condizione che avevano avuto prima della crisi degli anni ’30 e che aveva sempre portato a crack bancari, ovvero potevano fare insieme operazioni di credito ed operazioni di speculazione finanziaria, avevano emesso azioni od obbligazioni proprie.  Commerciando in azioni od obbligazioni però potevano guadagnare solo sui profitti. Ma i profitti si erano fermati, non puoi continuare a spremere fino all’osso l’economia senza investire. Ed allora che fare? Che cosa fa la banca? I derivati. Perché? Perché attraverso il derivato la banca paga gli interessi ai vecchi clienti con le sottoscrizioni dei nuovi clienti. Queste operazioni, ovviamente, sono di breve termine perché non puoi sistematicamente acquisire capitale per pagare gli interessi.

Risultato: ottocentomilamiliardi di dollari di derivati e titoli tossici che ammontano a 54 volte il pil mondiale.

La situazione è insostenibile ed infatti, nel 2008, per la prima volta la massa della liquidità che viene immessa nelle banche dalle famiglie, dalle imprese, dall’economia, anche criminale, è di meno della massa della liquidità che le banche perdono come speculatrici sul mercato finanziario. 

Quindi, salta la Lehman Brothers, ecc. In realtà doveva saltare tutto il sistema, invece intervengono le banche centrali che autorizzano mezzi monetari illimitati per fronteggiare la crisi. 

Che le banche centrali facciano tutto questo per evitare il fallimento del sistema bancario mondiale si può anche capire, ma non si capisce perché non chiedano alle banche niente in cambio, neanche di smettere di speculare. Ed infatti le banche continuano non solo a speculare ma, a fronte delle continue perdite, anche a remunerare con bonus milionari i propri dirigenti. O meglio, si capisce, infatti le banche, che hanno continuato a fare disastri, ora sono sotto il controllo delle banche centrali. Le banche centrali, infatti, hanno potuto dire: visto che non siete state capaci, non siete in grado di… ora prendiamo il controllo noi. E così il mondo bancario, che prima era parcellizzato, ora non lo è più. Ma le banche centrali sono delle istituzioni private, non pubbliche e dunque sono in mano ad uomini d’affari con tutto ciò che ne consegue.

A seguito di questo ennesimo disastro economico di cerca di tornare ad una economia reale? No, Si passa all’ultimo modello finanziario, tutt’ora in essere, c.d. ultrafinanziario o ultraspeculativo e mai esistito prima.

Che cosa caratterizza questo modello finanziario? Che è basato su un algoritmo matematico che consente di massimizzare l’emissione dei titoli e di guadagnare sulle perdite. Cioè, mentre il precedente capitalismo finanziario era basato sulla borsa, ed aveva come obiettivo la valorizzazione del titolo in borsa, questo capitalismo ultra finanziario ha come obiettivo quello di massimizzare l’emissione dei titoli per guadagnare sulle perdite. Spieghiamo come funziona questo meccanismo perverso, perché ci permette di capire molte delle politiche distruttive che caratterizzano la nostra epoca e che, se non si capisce questo modello c.d. ultra speculativo, risultano, ovviamente, incomprensibili.

A livello finanziario sono stati creati degli algoritmi matematici che, come dicevamo, consentono di massimizzare le emissioni di titoli.

Però la condizione perché questa operazione funzioni, perché si massimizzino le emissioni, è che i debitori stiano male. Perché se il debitore sta bene, io creditore incasso la cedola e, a scadenza, recupero il mio capitale e me lo metto in un cassetto. Se invece io so che questo titolo non vale niente, o è dubbio, o è sospetto, me ne voglio liberare. Quindi o lo cartolarizzo, o lo faccio girare, o ci faccio delle scommesse sopra di vario tipo, ed è su questo tipo di operazioni che io guadagno. Ma non solo, facendo questo tipo di operazioni guadagno molto di più in percentuale rispetto a quando un debitore, che può rientrare del debito, e mi paga gli interessi. Il un modello, che invece di guadagnare sui profitti guadagna sulle perdite, ha tutto l’interesse a che il debitore stia male e non possa rientrare del debito.

Capito questo, si capisce anche come l’Austerity e la spending review non mirino e non servano a migliorare i conti pubblici, ma servano a peggiorarli. Ed, infatti, li peggiorano, perché la via più certa per peggiorare i conti pubblici è quella di tagliare la spesa pubblica produttiva e poi aspettarsi che l’economia si riprenda. Così gli stati, con una economia che peggiora sempre di più, per far fronte alle spese emettono altri titoli, i titoli vengono acquistati dalle banche, anche centrali, con tanto di bazooka, che li fanno girare così guadagnando sulle perdite.

E, qui, affrontiamo anche un ultimo argomento, che è un cavallo di battaglia spesso cavalcato da alcune forze politiche, e che riguarda le tasse.

Infatti, in questa condizione economica, la riduzione delle tasse non serve a far riprendere l’economia, ma solo ad alimentare questo modello ultra speculativo.

Le tasse sono alte, e certo devono essere ridotte, ma dire che la riduzione delle tasse vada a vantaggio delle classi povere o medie e, facendo aumentare i consumi, dunque la domanda, la produttività e le assunzioni, permetta al paese di uscire fuori dalla crisi è un falso.  Vediamo perché.

La riduzione delle tasse non va a vantaggio delle classi povere, perché le classi povere già non le pagavano.

Ma non va a vantaggio neanche delle classi medie perché se è vero, come è vero, che le classi medie si ritrovano con più denaro, è anche vero che molti servizi sono stati ridotti, come sanità, trasporti, scuole ecc., Dunque, la classe media, con le tasse risparmiate, va a pagare il maggior prezzo di quei servizi e, dunque, non accresce la sua capacità di consumo, con la conseguenza che non aumenta la domanda, la produttività e non ci sono assunzioni.

I ricchi, che con la riduzione delle tasse hanno più denaro, non lo investono in attività produttive, perché si investe in attività produttive quando c’è una ripresa della domanda. Ma, visto che la ripresa della domanda non c’è, investiranno i loro soldi in prodotti finanziari, che aggravano la situazione, ovvero l’emissione di titoli tossici.

Una situazione disastrosa dunque, non solo non più legata in nessun modo all’economia reale, ma dove il sistema finanziario sopravvivere guadagnando sulle perdite. Fino a quando può durare questo sistema? Per il prof. Galloni poco, siamo quasi alla fine.

Come uscire da questo giro perverso?

Lasciamo perdere come il mondo finanziario possa sperare di uscire sano e salvo da questo perverso meccanismo che ha creato, e che non è nulla di buono per la popolazione mondiale, ed accenniamo a cosa possa fare l’Italia per far ripartire l’economia del paese, ovvero per far ripartire i consumi, quindi la domanda, la produttività e, conseguentemente, l’occupazione.

Con la ratifica dei trattati europei noi ci siamo impegnati a non emettere moneta a corso legale, ovvero euro, non ci siano però impegnati a non emettere moneta fiduciaria.

Questo cosa vuol dire? Vuol dire che lo Stato italiano può, ad esempio, emettere buoni acquisto o certificati di credito, che non sono moneta a corso legale. Questi buoni possono essere spesi all’interno del paese, per fare la spesa, pagare il commercialista, ecc. Il commerciante, il commercialista accettano questi buoni perché poi possono, a loro volta, usarli per comprare o per pagare, ad esempio, le tasse. Infatti, lo Stato italiano, avendo emesso questi buoni, ovviamente poi, deve anche accettarli in pagamento dei servizi erogati o, appunto, delle tasse. Il prof. Galloni ha fatto qualche conto ed ha considerato che se lo Stato mettesse l’equivalente di 200 euro in moneta fiduciaria all’interno di ogni busta paga, in otto mesi, se questi buoni vengono usati, il PIL del paese crescerebbe del 3%. Con l’aumento del PIL ci sarebbe un miglioramento dei conti pubblici con tutto quello che ne consegue.  Una volta che l’economia del paese è ripartita, si possono, poi, pensare i passi successivi.

Ma questo è un sistema che non può piacere alla finanza, se i conti migliorano come fare a massimizzare l’emissione dei titoli e guadagnare sulle perdite? Non si può.

Così, sino a che il potere finanziario domina sul potere dello Stato, tanto da essere la mano invisibile delle politiche pubbliche, non si può sperare in questo.

Però, visto che questo sistema di potere, come vedremo nel dettaglio nei prossimi video, ha bisogno comunque e sempre, per prosperare e crescere, del consenso di una popolazione che ha imparato controllare e manipolare, diventa estremamente importante capire come il totalitarismo rovesciato opera questo controllo e questa manipolazione.  Perché solo conoscendo quali sono i meccanismi di condizionamento la popolazione può difendersi e, riacquistata consapevolezza e potere, togliere forza a questa nuova forma di regime.

Nel prossimo video analizzeremo, quindi, come il totalitarismo ambisca a crescere in ambito nazionale ed internazionale, quali siano i suoi obiettivi. E vedremo come agisce all’interno del paese, come possa, con quali mezzi e quali inganni, calpestare le norme costituzionali, le norme interne e internazionali.







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