domenica 22 ottobre 2017

CARTA DI BARI PER LA DIFESA DELLE FONTI D’ACQUA





 RETE A DIFESA DELLE FONTI DACQUA
DEL MEZZOGIORNO DITALIA



BARI, 07 ottobre 2017

Casa dei Missionari Comboniani Via Giulio Petroni,101, Bari







CARTA DI BARI


PER LA DIFESA DELLE FONTI D’ACQUA

del Mezzogiorno d’Italia




Bari, 7 ottobre 2017



Noi tutti, aderenti alla Rete per la Difesa delle Fonti d’Acqua del Mezzogiorno d’Italia,

DICHIARIAMO

che il riconoscimento concreto del diritto all'acqua è un obiettivo imprescindibile del presente e del prossimo futuro. E siamo determinati a perseguirlo.

PREMESSO


che nel luglio del 2010 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione 64/92, che riconosce l’accesso a un’acqua sicura e pulita e all'igiene come diritto umano.
La Risoluzione è stata approvata con 122 voti favorevoli, nessun contrario e 41 astenuti. Tra i Paesi che hanno approvato la decisione, troviamo essenzialmente i Paesi impoveriti. Gli astenuti, invece, sono la maggior parte dei Paesi geograficamente europei o politicamente affini, nonché Paesi di indubbio rilievo economico e politico su scala internazionale quali gli Stati Uniti, il Canada, il Regno Unito e il Giappone, tutti componenti del G7.
Riconoscere concretamente il diritto all'acqua, senza il sostegno dei Paesi che esercitano una grande influenza sul piano globale, appare assai arduo.
Nel corso del 2013 la terza Commissione delle Nazioni Unite ha approvato all'unanimità un documento da sottoporre all'Assemblea Generale per riaffermare la Risoluzione del 2010, e l’Agenda degli Obiettivi sostenibili post 2015 che programma la concretizzazione del diritto umano all'acqua e ai servizi igienico- sanitari.

venerdì 20 ottobre 2017

DIRITTO ALL'ACQUA




CONSIGLIO  NAZIONALE  FORENSE
PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA



REGOLE DELLACQUA
REGOLE PER LA VITA



Primo Forum Internazionale 27-28 settembre 2017 MILANO  -  ITALIA


Sotto gli auspici della Presidenza italiana del G7








DIRITTO ALL’ACQUA



  DIRITTO ALL’ACQUA


LA NUOVA GENERAZIONE DEI DIRITTI


LA RISOLUZIONE SUL DIRITTO ALL’ACQUA

L’AGENDA 2030

CINQUE PROPOSTE





DIRITTO ALL’ACQUA[1]




Il riconoscimento concreto del diritto all’acqua è un obiettivo imprescindibile del prossimo futuro. Siamo determinati a perseguirlo.[2]

Gli Accordi internazionali, le Risoluzioni, i Trattati esprimono la visione politica dei paesi che li approvano. La legislazione internazionale talvolta è incerta, poiché nasce dal rapporto di forze tra soggetti di varia natura e con diverso orientamento. [3]

Cosicc l’attuale legislazione ambientale si fonda su una visione essenzialmente antropocentrica ed economica[4], che si contrappone a un approccio ecocentrico[5], con al centro ci i diritti della natura.[6]

LA NUOVA GENERAZIONE DEI DIRITTI




Il carico antropico crescente, l’impatto dellazione umana sul pianeta e l’ipersfruttamento delle risorse impongono una riflessione sulla compatibilità delle soluzioni adottate sino ad ora con la sopravvivenza della specie umana sul pianeta.

La difesa dei diritti dell’uomo è divenuta, nella modernità, la difesa dei diritti della natura. Il pianeta sopporte l’uomo se l’uomo sopporte di rinunciare alla propria supremazia sull’ambiente.  Una produzione normativa chiara, che guardi oltre, che si ponga a garanzia di una visione ecosistemica, deve fondarsi sulle antiche conoscenze, tradotte sino all’attualità dalle popolazioni indigene, piuttosto che sulle esperienze maturate dai Movimenti popolari.[7] Una svolta epocale, che stravolge radicalmente il modo di proporre soluzioni, che pone in campo nuovi interlocutori e i valori di cui sono portatori.  Una nuova visione per una nuova generazione di diritti nella quale gli elementi della natura sono soggetti del diritto e non semplicemente risorse al servizio dell’uomo. 

martedì 11 luglio 2017

Corte europea dei diritti umani. Quali limiti giuridici, e soprattutto morali, al diritto di difesa dell’Italia?





La tortura costituisce l’aspetto patologico dell’assenza di democrazia. E, in effetti, nasce là dove mancano, o sono indebolite, tutte quelle garanzie istituzionali processuali che della democrazia sono l’espressione indispensabile. Democrazia significa rispetto della dignità della persona; tortura significa umiliazione o annientamento di quella dignità.
Antonio Cassese



Il 19, 20 e 21 luglio 2001 si svolse a Genova il ventisettesimo summit del G8.

Nella notte tra il 21 e il 22 luglio membri del VII nucleo antisommossa della polizia fecero irruzione nella scuola Diaz-Pertini colpendo gli occupanti con pugni, calci e manganelli, gridando e minacciando le vittime[1].

Tre gradi di giudizio[2] e gli autori di quelle violenze/torture, grazie ad indulto e prescrizione, sono rimasti impuniti. Proprio per questo, alcune parti offese, hanno fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti umani lamentando la violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)[3].


La Corte Europea ha condannato l'Italia, stabilendo che "Le leggi italiane sono inadeguate a punire e quindi prevenire gli atti di tortura commessi dalle forze dell'ordine". e condannando l'Italia per non aver punito in modo adeguato i responsabili di quanto accaduto a Genova. 
 La sentenza stabilisce che i ricorrenti sono stati torturati, i responsabili non sono stati puniti come avrebbero dovuto e l'Italia non ha una legge che criminalizzi adeguatamente e quindi prevenga la tortura. E ha riconosciuto 29 indennizzi che variano tra i 45 e 55 mila euro per danni morali. 

Quello che sorprende sono le motivazione con cui l'Italia ha resistito in giudizio. 
In sintesi:
È vero, nella notte tra il 21 e 22 luglio 2001, la polizia ha fatto irruzione nella scuola Diaz ed ha esercitato, nei confronti delle persone presenti, violenze “di una gravità inusitata”, contro «persone inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e spesso, con la loro posizione seduta, in manifesta attesa di disposizioni»; una violenza, dunque, «non giustificata [...], punitiva, vendicativa e diretta all'umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime»[4]“Quanto avvenuto in tutti i piani dell’edificio scolastico con numerosi feriti, di cui diversi anche gravi, tale da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare la situazione ad una “macelleria messicana”, appare al Tribunale di notevole gravità sia sotto il profilo umano sia sotto quello legale[5].

È vero, molti degli autori di queste violenze sono rimasti sconosciuti, perché la polizia non ha collaborato alle indagini.

È vero, i pochi autori di queste violenze individuati e processati, grazie ad indulto e prescrizioni, sono rimasti impuniti.

Tutto vero, il Governo non nega ciò davanti alla Corte europea dei diritti umani, ma sostiene che il ricorso presentato da una persona torturata alla Diaz debba essere rigettato. Perché? Perché il ricorrente avrebbe perso la sua qualità di vittima, essendo stata accertata la violazione dell’art. 3 della Convenzione e avendo ottenuto “il riconoscimento del diritto a ricevere riparazione del pregiudizio subito, nonché il versamento, nel 2009, in esecuzione della sentenza di primo grado, dell’importo di 35.000 EUR a titolo di provvisionale sul risarcimento[6]

In altri termini: è vero, sei stato torturato dalla polizia e non abbiamo punito i colpevoli, ma abbiamo riconosciuto il tuo diritto ad essere risarcito.  Dunque, di che ti lamenti?

Questo è un principio che deve far tremare le vene ai polsi.

Come può proprio l’Italia, che ha il divieto di tortura come unico reato imposto costituzionalmente[7], fare una simile affermazione?

Vogliamo davvero portare avanti il principio che perfino davanti a crimini atroci come la tortura – che, ricordiamo, nega il principio dell’habeas corpus,  ovvero il più fondamentale tra i diritti di libertà dell’individuo, la cui affermazione risale addirittura al 1215[8] -  basti risarcire la vittima, e non anche punire i responsabili?

Ed è umiliante che sia la Corte Europea dei Diritti Umani a doverci ricordare:

  • che l’art. 1 della Convenzione Europea dei Diritti Umani impone allo Stato il dovere di «riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà definiti (...) [nella] Convenzione»;


  • che tali diritti devono essere non teorici o illusori ma concreti ed effettivi;


  • che in caso di violazione dei diritti della Convenzione lo Stato deve azionare un’inchiesta che deve portare alla identificazione alla punizione dei responsabili: “Se così non fosse, nonostante la sua importanza fondamentale, il divieto legale generale della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti sarebbe inefficace nella pratica, e sarebbe possibile in alcuni casi per gli agenti dello Stato calpestare, godendo di una quasi impunità, i diritti di coloro che sono sottoposti al loro… le autorità giudiziarie nazionali non devono in alcun caso mostrarsi disposte a lasciare impunite delle aggressioni contro l’integrità fisica e morale delle persone. Ciò è indispensabile per mantenere la fiducia del pubblico e garantire la sua adesione allo Stato di diritto, nonché per prevenire ogni accenno di tolleranza di atti illegali o di possibile collusione nella loro perpetrazione[9].


Ma che uno Stato abbia il dovere di riconoscere a garantire ai propri cittadini i diritti umani; che questi debbano essere effettivamente e concretamente riconosciuti e garantiti, con la conseguenza che chi li viola debba essere punito, sono principi fondamentali. 

Il diritto alla difesa incontra precisi limiti giuridici ma, ancora più importanti, sono i limiti morali. Il nostro Governo non può difendersi davanti alla Corte EDU negando i principi fondamentali del diritto. Tutto ciò è inaccettabile. Non lo può fare perché deve anzitutto, e soprattutto, difendere la dignità della Nazione, dei suoi cittadini e dei suoi giuristi, alcuni dei quali, anche recentemente, hanno scritto delle grandissime pagine di diritto a tutela dei diritti umani fondamentali[10].

Ma ancora non basta. Perché, con un ritardo di 69 anni - perché è già con l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948 che sorge l’imperativo legislativo di vietare la tortura e criminalizzarne il ricorso[11] - il 5 luglio 2017 l’Italia ha introdotto nel proprio ordinamento il reato di tortura. Il nostro paese ha impiegato 69 anni per scrivere una norma che, per usare un eufemismo, possiamo definire “imbarazzante”.

Una norma così lacunosa che persino il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, - nel tentativo di scongiurare quanto poi, purtroppo, accaduto -  ha sentito la necessità di prendere carta e penna e scrivere ai presidenti dei due rami del Parlamento, Laura Boldrini e Pietro Grasso, nonché ai presidenti delle commissioni giustizia, Donatella Ferranti e Nico D'Ascola, e a Luigi Manconi, presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. La richiesta? L’Italia modifichi il testo del Ddl perché “nella sua forma attuale contiene una definizione del reato e diversi elementi in disaccordo con quanto prescritto dagli standard internazionali…. se la legge sarà approvata così com'è, certi casi di tortura o trattamenti o punizioni degradanti o inumani non potranno essere perseguiti «creando quindi delle potenziali scappatoie per l'impunità”.[12]



Niente da fare. Il 5 luglio, purtroppo, questa brutta legge, piena di lacune, è passata… non siamo neanche stati capaci di copiare dalla giurisprudenza e dalla legislazione internazionale.





[1] Alcuni gruppi di agenti si accanirono anche su degli occupanti che erano seduti o allungati per terra. Alcuni degli occupanti, svegliati dal rumore dell'assalto, furono colpiti mentre si trovavano ancora nei loro sacchi a pelo; altri lo furono mentre tenevano le braccia in alto in segno di resa o mostravano le loro carte d'identità. Altri occupanti tentarono di scappare e si nascosero nei bagni o nei ripostigli dell'edificio, ma furono riacciuffati, colpiti, talvolta tirati fuori dai loro nascondigli per i capelli (sentenza di primo grado, pagg. 263-280, e sentenza d'appello, pagg. 205-212).
[2] Tribunale di Genova, sentenza n. 4252/08; Corte di Appello di Genova, sentenza n. 1530/10, Corte di Cassazione, sentenza n. 38085/12
[3] CEDU, art. 3. Proibizione della Tortura: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti”.
[4] Cass. pen., Sez. V, 5 luglio 2012 (dep. 2 ottobre 2012), n. 38085.
[5] Corte di Appello di Genova, sentenza 1530/2010
[6] Corte EDU, IV sez., sent. 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, ric. n. 6884/11, § 131.
[7]  A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato che non c’è, in Diritto Penale Contemporaneo, 17 febbraio 2014: “l’art. 13, 4° comma, così recita: È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di liberta. In un testo costituzionale che non prevede (altri) obblighi di criminalizzazione, la disposizione citata e la sola ad imporre una repressione penale, perché l’esperienza della tortura, a molti Costituenti, non era affatto sconosciuta. Dunque, la tortura è l’unico delitto costituzionalmente necessario: la ratifica dell’Italia di trattati e convenzioni che la vietano, quindi, obbedisce a un dovere di coerenza costituzionale come per una sorta di rima davvero obbligata, perché è già con l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948 che sorge l’imperativo legislativo di vietare la tortura e criminalizzarne il ricorso. Da allora, sono trascorsi inutilmente sessantasei anni”.
[8] ANGELA COLELLA, La repressione penale della tortura: riflessioni de iure condendo, in Diritto Penale Contemporaneo, 22 luglio 2014: “L’art. 39 della Magna Charta Libertatum, emanata nel 1215, enuncia per la prima volta il principio secondo cui «Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua dipendenza, della sua libertà o libere usanze, messo fuori dalla legge, esiliato, molestato in nessuna maniera, noi non metteremo, né faremo mettere la mano su di lui se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del Paese». A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani, Bologna, 2007, p. 23, rileva come si tratti «della prima affermazione ufficiale di un valore – l’integrità del corpo umano – opposto ad ogni potere, compreso quello del sovrano, e della prima istituzionalizzazione di una sfera di autonomia individuale rispetto alla quale l’ingerenza esterna deve essere giustificata dal diritto».
[9] Corte EDU, IV sez., sent. 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, ric. n. 6884/11, § 204
[10] https://solangemanfredi.blogspot.it/2017/01/questo-e-il-diritto-questi-sono-giuristi.html Grazie ad alcune straordinarie sentenze, anche della Corte Costituzionale, in Italia gli Stati che compiono crimini di guerra e/o violazioni di diritti umani in Italia non possono invocare l’immunità dalla giurisdizione.
[11] A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato che non c’è, in Diritto Penale Contemporaneo, 17 febbraio 2014
[12] http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-06-21/tortura-consiglio-d-europa-italia-modifichi-ddl-125643.shtml?uuid=AE3EZSjB&refresh_ce=1