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“Vogliono far fuori me o il sistema?”. (1)
È questa la domanda che pone Giulio Andreotti quando, negli
anni ’90, lanciato verso la presidenza della Repubblica, parte un attacco
feroce nei suoi confronti.
A dare il via all’“operazione” è il “pentito” (e, a quanto
risulta, collaboratore della CIA sin dal 1966) Tommaso Buscetta che, rientrato
in Italia dagli Stati Uniti, parla per la prima volta delle collusioni tra
mafia e politica e inizia a delineare le responsabilità di Andreotti.
In brevissimo tempo a carico dell’ex Presidente del
consiglio vengono aperti due procedimenti giudiziari: uno per mafia e l’altro
che lo vede indagato quale mandante dell’omicidio Carmine Pecorelli ucciso,
secondo l’accusa, perché sapeva troppo sul caso Moro. La sua carriera politica
è finita.
Andreotti, nel momento in cui viene iscritto nel registro
degli indagati, individua immediatamente in quei procedimenti una regia
d’oltreoceano e scrive: «È difficile
capire se dietro alle accuse che mi vengono rivolte ci sia un disegno destabilizzante
o solo il desiderio di togliermi di mezzo. Certo l’abile campagna denigratoria
partita dagli USA deve far riflettere». (1)
Oggi sappiamo che
obiettivo di quel feroce attacco non era solo Andreotti, ma l’intero sistema.
Ma a quale “sistema” si riferiva Andreotti, perché puntava il dito verso gli
Stati Uniti e perché negli anni ’90 quel sistema di potere viene fatto fuori?
Un “sistema” di controllo politico che, come anticipato, si basava su stretti
rapporti tra politica, massoneria e mafia, rapporti che questa relazione di
consulenza evidenzia aiutandoci nella comprensione di come funziona la macchina
del potere:
«Tutti noi siamo ciechi dinnanzi ad uno dei fenomeni più
importanti delle nostre vite: il reale funzionamento della macchina del
potere…si tratta di una cecità indotta dallo stesso potere al fine di
perpetuarsi». (2)
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