Trascrizione.
Nel secondo video abbiamo
visto quali siano stati i passaggi che hanno portato l’economia e la finanza a
dominare e, conseguentemente, a guidare la politica; come, questa lenta
trasformazione o meglio espansione del potere privato, abbia portato ad una
cultura dell’irresponsabilità e all’abdicazione della responsabilità pubblica
al benessere dei cittadini.
Abbiamo anche visto come
questi modelli economici, basati sulla ricerca del massimo profitto a scapito
del bene comune, si siano imposti grazie ad una cultura predatoria, arrogante
ed egoista.
Ma attenzione, perché
essendo ormai il potere finanziario che guida lo Stato, l’arroganza che porta
gli uomini d’affari ad infrangere le leggi si rispecchia anche nell'arroganza con cui il regime, divenuto stato-azienda, ignora e calpesta le norme
costituzionali, nonché le norme interne e internazionali.
Nei regimi totalitari
classici si presupponeva che il potere totale (totalitarismo appunto)
richiedesse che la totalità delle istituzioni, delle consuetudini, dei valori
fosse creata e coordinata dall'alto. Era un potere che si prefiggeva, anche
attraverso la forza e la violenza, il controllo di tutta società al fine di
promuovere e sostenere i propositi del regime.
Il totalitarismo rovesciato
funziona diversamente: come il totalitarismo classico, anche il totalitarismo
rovesciato ha una ideologia virtualmente indiscussa, che in questo caso è
rappresentata dal libero mercato.
Una teoria quella del libero mercato che,
come abbiamo già evidenziato nel secondo video, al posto di una spiegazione in
termini economici offre un miracolo, un’armonia naturale di interessi egoistici
dettata da una mano invisibile. Questo modello economico, questo miracolo, era
peraltro stato ipotizzato in un periodo storico, verso al fine del 1700, in cui
non vi erano aziende come le multinazionali, i cui profitti sono superiori a quelli
di molte nazioni e, conseguentemente, in grado di alterare in maniera sensibile
tale miracolosa armonia ed equilibrio di interessi egoistici.
Comunque, tornando a noi,
dicevamo che il totalitarismo rovesciato, ha questa sua ideologia ma, a
differenza del totalitarismo classico, per imporla non occupa, né neutralizza o
sopprime l’autorità e le risorse dello Stato, ma le sfrutta.
Infatti, il totalitarismo
rovesciato non ha, come presupposto del proprio successo, l’abbattimento del
sistema costituito.
Non mira apertamente a
sopprimere tutte le opposizioni.
Riconosce la libertà di
parola, dice di rispettare, ed anzi voler migliorare, la costituzione, e opera
all’interno di un sistema bipartitico.
Più che rivoltarsi contro
un sistema esistente, dice di difenderlo. Perché?
Perché il totalitarismo
rovesciato ha imparato a sfruttare quelli che, a prima vista, sembrerebbero
vincoli politici e giuridici forti, utilizzandoli in modo contrario al loro
proposito originario, ma senza smantellarli o attaccarli apertamente. Una delle
strategie che utilizza è, infatti, lo sfruttamento delle istituzioni, per
facilitare certe forme privilegiate di potere e tenere sotto controllo quelle
concorrenti.
Quindi, ad esempio, non
nega la costituzione, come aveva fatto il nazismo, ma la cambia, o ne sfrutta
le porosità, e legittima il suo potere attraverso un’interpretazione della
legge che mette al riparo i finanziatori della politica sotto l’ombrello degli
articoli della costituzione.
Perché, infatti,
sopprimere la costituzione, e così porsi in una situazione difficile, quando
questa può essere piegata, aggirata o utilizzata in senso contrario al suo proposito?
E
che la crisi che sta investendo il nostro paese in questi anni non sia solo
economica, sociale, politica ed istituzionale, ma anche democratica è palese a
molti, come numerosi e continui sono gli appelli lanciati da insigni giuristi, tra
cui l’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, per
denunciare questa deriva autoritaria.
Ma
non solo. La violazione dei principi democratici sanciti dalla nostra costituzione
è così frequente ed evidente da far lanciare un grido di allarme anche agli
intellettuali che vivono al di là dell’Oceano. “La democrazia in Italia è scomparsa”, così ha esordito recentemente
Noam-Chomsky,
linguista, filosofo, teorico della comunicazione e professore al
Massachusetts Institute of Technology, ospite al Festival delle Scienze
all'Auditorium Parco della Musica di Roma.
Ma, nonostante queste
denunce, lo stillicidio dei principi democratici continua inesorabile.
Come è possibile che
questo accada? Cerchiamo di capirlo, ovvero di capire attraverso quale
meccanismo il totalitarismo rovesciato possa fare ciò, perché solo comprendendo
il meccanismo con cui opera questo regime, ci si potrà poi accorgere dei futuri
abusi.
L’Italia è una Repubblica
democratica, queste le prime parole dell’art. 1 della nostra costituzione.
Ma, cosa significa
democratica, ovvero quali valori deve tutelare un paese per poter dire di
essere democratico?
Il carattere democratico
di uno Stato può essere scomposto in una serie di valori fondamentali, il cui
principale, ovvero quello fondante, è la tutela dei diritti umani, anche del
singolo individuo.
Ed, infatti, l’art. 2,
sancisce che: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo sia come singolo, sia all’interno delle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Cosa
vollero sancire con queste due previsioni i Costituenti?
Primo: affermare il
primato della persona sullo Stato, cioè che la tutela dei diritti fondamentali
dell’uomo, anche di un solo uomo, viene prima della tutela di ogni istituzione
politica e ad ogni potere costituito.
Secondo: che i diritti
umani non sono solo il fondamento primo dello Stato ma sono, nello stesso
tempo, il fine ultimo delle attività politiche di uno Stato. Cioè le attività
politiche di uno Stato devono avere come fine ultimo la tutela dei diritti
umani.
La costituzione, poi, nei
suoi articoli, tutela innumerevoli altri diritti fondamentali ma, per ora,
fermiamoci qui, perché l’analisi di questi due articoli è sufficiente per
capire il meccanismo attraverso il quale il totalitarismo rovesciato opera e
per analizzare dove e come sia stato affermato e scritto che la nostra non è
più una Repubblica democratica.
Quali sono le istituzioni preposte a garantire l’osservanza
dei principi sanciti dalla nostra costituzione da parte degli altri organi
dello Stato, compreso il potere politico (anzi soprattutto, il potere politico,
visto che emana le leggi, leggi che, come vedremo, spesso vengono formulate in modo tale da poter essere manipolate e
così da poter offrire scappatoie al potere politico).
Perché i diritti sanciti
dalla nostra costituzione vengano rispettati dal potere politico il costituente
ha previsto un doppio livello di controllo:
- Il capo dello stato ha
la funzione di garante della costituzione (funzione di controllo
preventiva).
- La corte costituzionale ha la funzione di custode della costituzione (funzione di controllo successiva).
- La corte costituzionale ha la funzione di custode della costituzione (funzione di controllo successiva).
Il rispetto della carta costituzionale può avvenire solo se entrambe le funzioni vengono svolte correttamente. Vediamo perché.
Il Presidente della
Repubblica ha la funzione di garante della costituzione. ù
Analizziamo questa sua funzione che, priorio
in questi giorni è tornata di attualità con la richiesta da parte di alcuni al
presidente Mattarella di non firmare l’italicum, firma che purtroppo il
presidente ha apposto. Torneremo poi su questo punto.
Cosa vuol dire che il
Presidente della Repubblica ha la funzione di garante della costituzione? Vuol
dire che il Presidente della Repubblica ha l'importantissimo compito di
controllo preventivo di costituzionalità sulle funzioni legislative e di
governo.
Come esercita il Capo dello Stato questa funzione? promulgando le leggi.
Il Costituente ha infatti previsto che sia compito del Presidente della Repubblica promulgare le leggi votate dal parlamento o i decreti emanati dal governo, cioè queste giungono sul tavolo del Capo dello Stato che, con la sua firma, che ne garantisce la conformità ai principi costituzionali, le promulga.
Se il Presidente ha dei
dubbi, e ritiene che la legge presenti profili di incostituzionalità, può, ma
soprattutto deve, non firmare, ovvero può, e deve, porre un veto sospensivo sulle
legge e, con messaggio motivato, rinviare alle Camere la legge chiedendo una
nuova votazione (Art. 74 Cost. “Il Presidente della Repubblica, prima di
promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova
deliberazione).
E' possibile che le Camere non tengano conto delle indicazioni del Capo dello Stato e approvino nuovamente lo stesso testo (difficilmente capita, normalmente le Camere tengono in considerazione le indicazioni del Capo dello Stato).
In questo caso il Capo
dello Stato deve firmare e promulgare la legge (Art. 74 Cost. Se le Camere
approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata).
Ma anche questo non è
completamente vero, infatti, nei casi più gravi, si ritiene che, se la legge
che gli viene chiesto di firmare è anti-costituzionale, ovvero apparisse
gravemente ed irrimediabilmente lesiva delle competenze costituzionali di un
altro potere, il Capo dello Stato potrebbe ancora rifiutarsi di firmare,
proprio in forza della sua primaria funzione di garante della costituzione e
dell'equilibrio tra poteri. Certo, a fronte di un atto così "forte"
probabilmente si assisterebbe ad uno scontro durissimo in cui il Governo
potrebbe sollevare un conflitto di attribuzioni davanti alla Corte
Costituzionale.
Cosa si intende per
conflitto di attribuzione, un contrasto che sorge tra organi diversi dello
stato in ordine alla competenza su una determinata materia.
Comunque, se le Camere
approvano nuovamente lo stesso testo di legge il capo dello stato deve firmare.
Tale previsione ha un suo perché. Infatti il Costituente, ben consapevole dell'importanza della Costituzione, e volendo tutelarla da tutti i possibili abusi, ha predisposto una doppia garanzia: da un lato quella del Capo dello Stato su possibili abusi della maggioranza (con il veto sospensivo); dall'altra da possibili abusi proprio del Capo dello Stato che, sfruttando il suo diritto di veto, potrebbe rifiutarsi di mettere la firma sulle leggi votate dalle Camere così bloccando all'infinito il Legislatore.
Ma tutto ciò non significa che la funzione preventiva di controllo di costituzionalità del Capo dello Stato non sia importante, anzi è fondamentale e, soprattutto, non può essere sostituita dal solo controllo successivo della Corte Costituzionale.
Infatti, se è vero che le decisioni di rispondenza delle leggi alla Costituzione competono alla Corte Costituzionale, è anche vero che il potere di valutazione preventiva dato al Capo dello Stato, ove non esercitato, può portare a situazioni gravissime e, purtroppo, irrimediabili.
E spieghiamo il perché
facendo due esempi.
Con la legge n. 270 del 21 dicembre 2005, il sistema
elettorale italiano viene cambiato. I profili di incostituzionalità al
disegno di legge vengono subito evidenziati da diversi costituzionalisti e
denunciati dai parlamentari durante la discussione in aula.
Ma, nonostante questi
rilievi di incostituzionalità il disegno viene approvato e firmato dal
Presidente della Repubblica divenendo così legge (n. 270 del 21 dicembre 2005).
Uno
dei firmatari della legge 270, nel marzo del 2006, durante una intervista alla
trasmissione Matrix definisce la legge “una porcata”, (da qui il soprannome
alla legge Porcellum dato dal politologo Giovanni Sartori).
Le
elezioni politiche del 2006 (Governo Prodi) e del 2008 (Governo Berlusconi) si
svolgono, per riprendere le parole di uno dei firmatari, con quella porcata di
legge (per l’elezione dei successivi governi - Monti, Letta e Renzi - non abbiano
più neanche potuto votare).
A
distanza di 9 anni dalla sua emanazione quella legge elettorale, il porcellum,
viene dichiarata incostituzionale. Perché così tanti anni?
Perché
il procedimento per poter far dichiarare una legge incostituzionale non è né
semplice, né rapido. Infatti la corte costituzionale non può essere adita
direttamente, ma solo in via c.d. incidentale. Si deve cioè
attendere che la norma sospetta di incostituzionalità debba essere applicata da
un giudice, ma non solo, il giudice deve ritenere che le eccezioni di
illegittimità costituzionale siano fondate.
Infatti, per giungere a
far dichiarare il porcellum, un cittadino ha dovuto convenire in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la Presidenza
del Consiglio dei ministri e il Ministero dell’interno, sostenendo che in
occasione delle lezioni del 2006 e 2008, ovvero le elezioni svolte con il
porcellum i suoi diritti in materia di voto previsti sia dalla Costituzione
italiana articoli 48, 56 e 58, sia dalla Convenzione europea dei diritti
dell’uomo protocollo 1 erano stati violati perché gli era stato impedito di esercitare il suo diritto di voto in modo
libero e diretto.
Ed
aveva ragione, infatti, la Corte Costituzionale, nella sentenza 1 del 2014
afferma che venivano violati i principi dell’elettorato, perché in una democrazia il
popolo ha diritto alla «scelta del corpo legislativo», ovvero dei candidati
alle camere. Invece il porcellum non permetteva all’elettore di esprimere
alcuna preferenza per i candidati, ma solo di scegliere una lista di partito,
cui era rimessa la designazione di tutti i candidati.
Secondo: il meccanismo
previsto per il premio di maggioranza non solo era assolutamente irragionevole
e non portava nessun vantaggio in termini di governabilità, ma provocava una
alterazione degli equilibri istituzionali democratici.
Violazioni
palesi, ma non per tutti. Infatti il Tribunale di Milano,
con sentenza del 18 aprile 2011, ha respinto le domande del cittadino,
giudicando manifestamente infondate le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale.
Il cittadino ha proposto
appello ma, anche in questo caso, i giudici hanno ritenuto infondate le
eccezione di illegittimità costituzionale.
Il tenace cittadino,
quindi, ha proposto ricorso in Cassazione e, il 17 maggio 2013 la Corte di
Cassazione, ravvisando la sussistenza dell’illegittimità della legge, ha
sollevato la questione di legittimità costituzionale rimettendo tutto alla
Corte Costituzionale che, con la sentenza 1/2014, ne ha dichiarato la parziale
incostituzionalità.
Per poter veder
dichiarata incostituzionale quella legge, definita dallo stesso autore “una
porcata”, ci sono voluti 3 gradi di giudizio ed immaginiamo quale esborso di
denaro di denaro da parte di quel cittadino.
Ma non è questo il
grave. Infatti, la conseguenza di tale
declaratoria di incostituzionalità è stata che 148 deputati eletti con il premio di maggioranza del porcellum
(dichiarato incostituzionale), siedono illegittimamente in Parlamento. Torneremo poi su questo punto per parlare
dell’Italicum. Per ora evidenziamo che se il controllo preventivo di
costituzionalità demandato al Presidente della Repubblica avesse funzionato,
ovvero se il Presidente della Repubblica avesse ravvisato che quella legge
incostituzionale, tutto ciò non sarebbe accaduto e i diritti sanciti dalla
costituzione non sarebbero stati irrimediabilmente violati.
Facciamo un secondo
esempio.
Grazie ad una legge del
2006 Oggi, preparare un colpo di stato non è più reato, mentre compiere un colpo di stato con atti violenti è sanzionato
con una pena ridicola. Ad esempio compiere un attentato, con atti diretti,
violenti ed idonei contro gli organi
costituzionali: Presidente della Repubblica, governo, ecc.. è punito con una
pena da 1 a 5 anni, mentre per il furto con strappo è prevista una pena da 1 a
6 anni. Insomma oggi rischia di più chi in metropolitana vi ruba, senza che ve
accorgiate, il portafoglio che non chi attenta con atti diretti, violenti ed idonei agli organi costituzionali.
Ma, come si è arrivati a
questo assurdo giuridico? Con la legge
24 febbraio 2006 n. 85, pubblicata in G.U. del 13 marzo 2006, n. 60, dal
titolo: “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione”.
Eppure sin dal primo
articolo ci si rende conto che le modifiche più importanti apportate dalla
legge hanno ben poco a che vedere con i reati di opinione. Infatti vengono
modificati gli artt.241 (attentati contro l'indipendenza, l'integrità e
l'unità dello Stato); 283 (attentato contro la Costituzione dello Stato);
289 (attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali), ovvero le figure di attentato alle istituzioni democratiche
del paese.
Attenzione a questo
particolare, ovvero quello di nascondere cose molto gravi dietro parole
apparentemente innocue perché è uno dei principali strumenti con cui il
totalitarismo rovesciato opera.
Comunque, dicevamo, che
le modifiche più importanti vengono apportate agli articoli che riguardano le
figure di attentato contro l’indipendenza l'integrità e l'unità dello Stato;
contro la Costituzione dello Stato; contro organi costituzionali
Certo, con quella legge sono stati anche modificati, e abrogati, alcuni articoli che incidono sulla libertà di espressione (es. vilipendio, propaganda e apologia). Tali modifiche, però, non hanno la rilevanza di quelle apportate agli articoli che concernono le figure di attentato.
Come è stato possibile
apportare tale modifica? Attraverso uno dei tanti strumenti, ovvero inganni,
con cui opera il totalitarismo rovesciato, ovvero porre mano ad una legge
dicendo di volerla migliorare per poter poi, nei fatti, peggiorarla
pericolosamente. Vediamo come.
Prima della modifica
operata dalla legge n. 85/2006, per integrare una delle fattispecie di
attentato contro la personalità dello Stato, trattandosi di delitti posti a
presidio di beni di rango particolarmente elevato (Integrità, indipendenza ed
unità dello Stato; Costituzione ed organi Costituzionali), era sufficiente un
qualsiasi atto intenzionalmente diretto a ledere il bene protetto,
indipendentemente dalla sua idoneità a raggiungere lo scopo.
Tale previsione, però,
poneva un problema di ordine costituzionale, precisamente vi era una violazione
dell’art. 25 della costituzione che prevede il principio di offensività. Cioè
io posso essere punito per un fatto solo ove questo sia idoneo ad arrecare una
offesa. Facciamo un esempio: se io voglio uccidere una persona e per far,o gli
lancio contro una mollica di pane, è evidente che questo mio atto non è idoneo. Per ottemperare a questa esigenza
il legislatore avrebbe potuto modificare la fattispecie prevedendo la
punibilità della condotta di “fatti diretti ed idonei a...”.
Il legislatore, però, si
è spinto ben oltre prevedendo, perché sia integrata la fattispecie, che gli
atti, oltre ad essere idonei e diretti, debbano essere anche violenti.
Tale ulteriore
restrizione della fattispecie, non giustificata da esigenze costituzionali espone
le istituzioni democratiche del paese ad un grave rischio, privandole, nei
fatti, di qualsiasi tutela.
Come scrive efficacemente
il prof. Domenico Pulitanò:
“La specificazione “atti violenti”, a
prima vista così plausibile, pone delicati problemi di interpretazione: quid
juris (cioè quale norma applicare) ove mai un attentato all'integrità dello
Stato, o alla Costituzione, o al funzionamento di organi costituzionali,
venisse perpetrato con abuso di pubblici poteri, senza dispiegamento di forza
bruta?”.
Già, quale norma si
potrebbe applicare per punire un delitto così grave? La risposta è nessuna. Nulla,
non si potrebbe fare nulla, come nulla potrebbe fare la magistratura se
scoprisse che un certo gruppo sta preparando un colpo di stato, perché non avrebbe
ancora compiuto alcun atto violento.
Ma che i beni tutelati dall'ordinamento possano essere lesi anche da atti non violenti è da sempre
chiaro al nostro legislatore, come dimostra il fatto che la maggior parte delle
condotte punite dal nostro codice penale non richiedono la connotazione
violenta.
In questo caso, invece,
si richiede la connotazione violenta.
Così io vengo punito se
vengo scoperto a preparare un furto, una rapina, o altro, ma non se vengo
scoperto a preparare un colpo di stato, no. Se abusando del mio potere attuo un
colpo di stato, quello che viene definito cioè golpe bianco, no, non sono
neanche perseguibile.
Situazione assurda, ulteriormente
aggravata poi dalla scelta operata dal legislatore di ridurre le pene edittali per
questi gravi reati, che, considerando la norma sulla prescrizione e i tempi
della giustizia, nei fatti, si traduce in una sostanziale impunità per chiunque
attenti con atti diretti, violenti ed idonei alle istituzioni democratiche del
nostro paese.
Il legislatore, con tale
legge, ha, nei fatti, privato di qualsiasi effettiva tutela le istituzioni
democratiche del paese.
E Tale legge è tutt'ora in essere, benché presenti non solo evidenti dubbi di legittimità
costituzionale ma un vero e proprio pericolo per la sicurezza del nostro Stato.
Perché?
Perché come abbiamo sopra chiarito, perché la Corte possa essere
investita del problema di costituzionalità di una legge si deve attendere che
tale legge debba essere applicata da un giudice. Dal momento che questa legge è
penale si dovrà attendere che qualcuno tenti un colpo di stato con atti
diretti, violenti, ed idonei, che non riesca nel suo intento (se riesce a poco
servirà la Corte), che la magistratura individui e rinvii a giudizio gli autori
del tentato golpe, che un giudice ravvisi l’illegittimità costituzionale della
norma e che rimetta il tutto alla Corte Costituzionale. Solo a questo punto la
Corte potrà prendere in esame la costituzionalità della legge.
Ecco alcuni esempi di
come, a causa del mancato esercizio del controllo preventivo di
costituzionalità da parte del Presidente della Repubblica, si possono produrre
conseguenze gravissime e, purtroppo, nel caso in cui il colpo di stato compiuto
con atti diretti violenti e idonei abbia avuto successo, irrimediabili.
Nel prossimo video
analizzeremo le funzioni della Corte costituzionale evidenziando con degli
esempi, come l’abdicazione da parte della Corte alla sua funzione non solo
abbia comportato che diritti fondamentali non sono stati tutelati e garantiti,
ma come e dove, in realtà, sia stato affermato e scritto che la nostra non è
più una Repubblica democratica.
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