La tortura
costituisce l’aspetto patologico dell’assenza di democrazia. E, in effetti,
nasce là dove mancano, o sono indebolite, tutte quelle garanzie istituzionali
processuali che della democrazia sono l’espressione indispensabile. Democrazia
significa rispetto della dignità della persona; tortura significa umiliazione o
annientamento di quella dignità.
Antonio Cassese
Il 19, 20 e 21
luglio 2001 si svolse a Genova il ventisettesimo summit del G8.
Nella notte tra il 21 e il 22 luglio
membri del VII nucleo antisommossa della polizia fecero irruzione nella scuola
Diaz-Pertini colpendo gli occupanti con pugni, calci e manganelli, gridando e
minacciando le vittime[1].
Tre gradi di giudizio[2]
e gli autori di quelle violenze/torture, grazie ad indulto e prescrizione, sono
rimasti impuniti. Proprio per questo, alcune parti offese, hanno fatto ricorso
alla Corte Europea dei Diritti umani lamentando la violazione dell’art. 3 della
Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)[3].
La Corte Europea ha condannato l'Italia, stabilendo che "Le leggi italiane sono inadeguate a punire e quindi prevenire gli atti di tortura commessi dalle forze dell'ordine". e condannando l'Italia per non aver punito in modo adeguato i responsabili di quanto accaduto a Genova.
La sentenza stabilisce che i ricorrenti sono stati torturati, i responsabili non sono stati puniti come avrebbero dovuto e l'Italia non ha una legge che criminalizzi adeguatamente e quindi prevenga la tortura. E ha riconosciuto 29 indennizzi che variano tra i 45 e 55 mila euro per danni morali.
Quello che sorprende sono le motivazione con cui l'Italia ha resistito in giudizio.
In sintesi:
In sintesi:
È vero,
nella notte tra il 21 e 22 luglio 2001, la polizia ha fatto irruzione nella
scuola Diaz ed ha esercitato, nei confronti delle persone presenti, violenze “di una gravità inusitata”, contro «persone inermi, alcune dormienti, altre già
in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e spesso, con la loro
posizione seduta, in manifesta attesa di disposizioni»; una violenza,
dunque, «non giustificata [...],
punitiva, vendicativa e diretta all'umiliazione e alla sofferenza fisica e
mentale delle vittime»[4]: “Quanto
avvenuto in tutti i piani dell’edificio scolastico con numerosi feriti, di cui
diversi anche gravi, tale da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare
la situazione ad una “macelleria messicana”, appare al Tribunale di notevole
gravità sia sotto il profilo umano sia sotto quello legale”[5].
È
vero, molti degli autori di queste violenze sono rimasti sconosciuti, perché la
polizia non ha collaborato alle indagini.
È
vero, i pochi autori di queste violenze individuati e processati, grazie ad indulto
e prescrizioni, sono rimasti impuniti.
Tutto
vero, il Governo non nega ciò davanti alla Corte europea dei diritti umani, ma
sostiene che il ricorso presentato da una persona torturata alla Diaz debba
essere rigettato. Perché? Perché il ricorrente avrebbe perso la sua qualità di
vittima, essendo stata accertata la violazione dell’art. 3 della Convenzione e
avendo ottenuto “il riconoscimento del
diritto a ricevere riparazione del pregiudizio subito, nonché il versamento,
nel 2009, in esecuzione della sentenza di primo grado, dell’importo di 35.000
EUR a titolo di provvisionale sul risarcimento”[6]
In
altri termini: è vero, sei stato torturato dalla polizia e non abbiamo punito i
colpevoli, ma abbiamo riconosciuto il tuo diritto ad essere risarcito. Dunque, di che ti lamenti?
Questo
è un principio che deve far tremare le vene ai polsi.
Come
può proprio l’Italia, che ha il divieto di tortura come unico reato imposto
costituzionalmente[7],
fare una simile affermazione?
Vogliamo
davvero portare avanti il principio che perfino davanti a crimini atroci come
la tortura – che, ricordiamo, nega il principio dell’habeas corpus, ovvero il più fondamentale tra i diritti di
libertà dell’individuo, la cui affermazione risale addirittura al 1215[8] - basti risarcire la vittima, e non anche punire
i responsabili?
Ed
è umiliante che sia la Corte Europea dei Diritti Umani a doverci ricordare:
- che l’art. 1 della Convenzione Europea dei Diritti Umani impone allo Stato il dovere di «riconoscere a ogni persona sottoposta alla [sua] giurisdizione i diritti e le libertà definiti (...) [nella] Convenzione»;
- che tali diritti devono essere non teorici o illusori ma concreti ed effettivi;
- che in caso di violazione dei diritti della Convenzione lo Stato deve azionare un’inchiesta che deve portare alla identificazione alla punizione dei responsabili: “Se così non fosse, nonostante la sua importanza fondamentale, il divieto legale generale della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti sarebbe inefficace nella pratica, e sarebbe possibile in alcuni casi per gli agenti dello Stato calpestare, godendo di una quasi impunità, i diritti di coloro che sono sottoposti al loro… le autorità giudiziarie nazionali non devono in alcun caso mostrarsi disposte a lasciare impunite delle aggressioni contro l’integrità fisica e morale delle persone. Ciò è indispensabile per mantenere la fiducia del pubblico e garantire la sua adesione allo Stato di diritto, nonché per prevenire ogni accenno di tolleranza di atti illegali o di possibile collusione nella loro perpetrazione”[9].
Ma che uno Stato abbia il dovere di riconoscere a garantire ai propri cittadini i diritti umani; che questi debbano essere effettivamente e concretamente riconosciuti e garantiti, con la conseguenza che chi li viola debba essere punito, sono principi fondamentali.
Il diritto alla difesa incontra precisi limiti giuridici ma, ancora più importanti, sono i limiti morali. Il nostro Governo non può difendersi davanti alla Corte EDU negando i principi fondamentali del diritto. Tutto ciò è inaccettabile. Non lo può fare perché deve anzitutto, e soprattutto, difendere la dignità della Nazione, dei suoi cittadini e dei suoi giuristi, alcuni dei quali, anche recentemente, hanno scritto delle grandissime pagine di diritto a tutela dei diritti umani fondamentali[10].
Il diritto alla difesa incontra precisi limiti giuridici ma, ancora più importanti, sono i limiti morali. Il nostro Governo non può difendersi davanti alla Corte EDU negando i principi fondamentali del diritto. Tutto ciò è inaccettabile. Non lo può fare perché deve anzitutto, e soprattutto, difendere la dignità della Nazione, dei suoi cittadini e dei suoi giuristi, alcuni dei quali, anche recentemente, hanno scritto delle grandissime pagine di diritto a tutela dei diritti umani fondamentali[10].
Ma ancora non basta. Perché, con un ritardo di 69 anni - perché è già con l’entrata in vigore della Costituzione italiana del 1948 che sorge l’imperativo legislativo di vietare la tortura e criminalizzarne il ricorso[11] - il 5 luglio 2017 l’Italia ha introdotto nel proprio ordinamento il reato di tortura. Il nostro paese ha impiegato 69 anni per scrivere una norma che, per usare un eufemismo, possiamo definire “imbarazzante”.
Una norma così lacunosa che persino il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, - nel tentativo di scongiurare quanto poi, purtroppo, accaduto - ha sentito la necessità di prendere carta e penna e scrivere ai presidenti dei due rami del Parlamento, Laura Boldrini e Pietro Grasso, nonché ai presidenti delle commissioni giustizia, Donatella Ferranti e Nico D'Ascola, e a Luigi Manconi, presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. La richiesta? L’Italia modifichi il testo del Ddl perché “nella sua forma attuale contiene una definizione del reato e diversi elementi in disaccordo con quanto prescritto dagli standard internazionali…. se la legge sarà approvata così com'è, certi casi di tortura o trattamenti o punizioni degradanti o inumani non potranno essere perseguiti «creando quindi delle potenziali scappatoie per l'impunità”.[12]
Niente da fare. Il 5 luglio, purtroppo, questa brutta legge, piena di lacune, è passata… non siamo neanche stati capaci di copiare dalla giurisprudenza e dalla legislazione internazionale.
[1] Alcuni gruppi di
agenti si accanirono anche su degli occupanti che erano seduti o allungati per
terra. Alcuni degli occupanti, svegliati dal rumore dell'assalto, furono
colpiti mentre si trovavano ancora nei loro sacchi a pelo; altri lo furono
mentre tenevano le braccia in alto in segno di resa o mostravano le loro carte
d'identità. Altri occupanti tentarono di scappare e si nascosero nei bagni o
nei ripostigli dell'edificio, ma furono riacciuffati, colpiti, talvolta tirati
fuori dai loro nascondigli per i capelli (sentenza di primo grado, pagg.
263-280, e sentenza d'appello, pagg. 205-212).
[2] Tribunale di
Genova, sentenza n. 4252/08; Corte di Appello di Genova, sentenza n. 1530/10,
Corte di Cassazione, sentenza n. 38085/12
[3] CEDU, art. 3.
Proibizione della Tortura: “Nessuno può
essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani e degradanti”.
[4] Cass. pen., Sez.
V, 5 luglio 2012 (dep. 2 ottobre 2012), n. 38085.
[5] Corte di Appello
di Genova, sentenza 1530/2010
[6] Corte EDU, IV
sez., sent. 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, ric. n. 6884/11, § 131.
[7] A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e Costituzione: anatomia di un reato
che non c’è, in Diritto Penale Contemporaneo, 17 febbraio 2014: “l’art. 13, 4° comma, così recita: ≪È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizione di liberta≫. In
un testo costituzionale che non prevede (altri) obblighi di criminalizzazione,
la disposizione citata e la sola ad imporre una repressione penale, perché
l’esperienza della tortura, a molti Costituenti, non era affatto sconosciuta.
Dunque, ≪la tortura è
l’unico delitto costituzionalmente necessario≫: la
ratifica dell’Italia di trattati e convenzioni che la vietano, quindi,
obbedisce a un dovere di coerenza costituzionale come per una sorta di rima
davvero obbligata, perché è già con l’entrata in vigore della Costituzione
italiana del 1948 che sorge l’imperativo legislativo di vietare la tortura e
criminalizzarne il ricorso. Da allora, sono trascorsi inutilmente sessantasei
anni”.
[8] ANGELA COLELLA, La repressione penale della tortura:
riflessioni de iure condendo, in Diritto Penale Contemporaneo, 22 luglio
2014: “L’art. 39 della Magna Charta
Libertatum, emanata nel 1215, enuncia per la prima volta il principio secondo
cui «Nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua
dipendenza, della sua libertà o libere usanze, messo fuori dalla legge,
esiliato, molestato in nessuna maniera, noi non metteremo, né faremo mettere la
mano su di lui se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la
legge del Paese». A. FACCHI, Breve storia dei diritti umani, Bologna, 2007, p.
23, rileva come si tratti «della prima affermazione ufficiale di un valore –
l’integrità del corpo umano – opposto ad ogni potere, compreso quello del
sovrano, e della prima istituzionalizzazione di una sfera di autonomia
individuale rispetto alla quale l’ingerenza esterna deve essere giustificata
dal diritto».
[9] Corte EDU, IV
sez., sent. 7 aprile 2015, Cestaro c. Italia, ric. n. 6884/11, § 204
[10] https://solangemanfredi.blogspot.it/2017/01/questo-e-il-diritto-questi-sono-giuristi.html
Grazie ad alcune straordinarie sentenze, anche della Corte Costituzionale, in
Italia gli Stati che compiono crimini di guerra e/o violazioni di diritti umani
in Italia non possono invocare l’immunità dalla giurisdizione.
[11] A. PUGIOTTO, Repressione penale della tortura e
Costituzione: anatomia di un reato che non c’è, in Diritto Penale Contemporaneo,
17 febbraio 2014
[12]
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-06-21/tortura-consiglio-d-europa-italia-modifichi-ddl-125643.shtml?uuid=AE3EZSjB&refresh_ce=1