Clicca per scaricare gratuitamente l'ebook
La Propaganda di guerra è un
crimine.
Desidero
ringraziare il Colonnello Guido Monno per il tempo che mi ha dedicato, e per i
numerosi documenti e consigli che mi ha fornito.
Premessa. I motivi del conflitto. Esportare la
democrazia. La doppia morale della guerra. “La storia è maestra, ma non ha
scolari”. Conclusioni.
Premessa
Da
alcuni giorni è in corso il conflitto tra Russia e Ucraina. Non doveva accadere,
e il conflitto deve essere fermato subito.
Ma,
detto questo, quello che deve essere parimenti fermato è questa irresponsabile
e pericolosa propaganda che confonde e destabilizza le popolazioni, manipolando
emozioni e alimentando paura e odio.
Tutto
questo è pericoloso, perché se è vero che attraverso la propaganda si ottiene il
facile appoggio dell’opinione pubblica, dall’altro le conseguenze a breve,
medio e lungo termine possono essere devastanti: devastanti per le popolazioni,
che non devono iniziare a odiarsi, devastanti per la pace perché, se si
prosegue sulla strada delle bugie e degli inganni, nessuna diplomazia potrà mai
fermare alcun conflitto armato.
In
questo conflitto Putin viene descritto come un nuovo Hitler, un pazzo
sanguinario dalle mire imperialistiche che minaccia l’Europa e il mondo, e
contro cui la comunità internazionale chiede di fare fronte comune.
È
così?
Non
proprio. Come scrive John J. Mearsheimer, tra i maggiori politologi al mondo,
professore di scienza politica alla University of Chicago nel suo libro “La grande illusione”[1], i principali responsabili
di questa crisi, che è sfociata in una inaccettabile guerra, sia noi, gli Stati
Uniti e Europa (da ora in poi Occidente).
Siamo
noi che abbiamo iniziato una politica estera aggressiva nei confronti della
Russia, minacciandone gli interessi strategici e la sicurezza territoriale. Una
politica incomprensibile, iniziata a metà degli anni ‘90 contro una nazione che
non ci minacciava in alcun modo, condotta attraverso operazioni di Pyops, oggi ribattezzate
con il termine più innocuo di tecniche di soft power, ma non ci si lasci
ingannare dal termine, “le armi della
guerra psicologica... fanno più vittime innocenti di qualsiasi guerra
convenzionale”[2] e possono causare affezioni psichiche in
grado di condizionare intere generazioni[3].
I motivi del conflitto
Crollato
il muro di Berlino, scopo comune dell’Occidente era promuovere la democrazia
liberale nel mondo, anche nei paesi dell’Europa orientale.
Per
ottenere questo risultato è stata portata avanti una la strategia composta tre
elementi interconnessi: allargamento della NATO, espansione dell’UE e le rivoluzioni
colorate.
Vediamole
in sintesi.
Dopo
la riunificazione della Germania, come confermano numerosi documenti
declassificati,[4]
viene data alla Russia la garanzia che
la Nato non si sarebbe allargata ma, sotto l’amministrazione Clinton, si decide
per l’espansione. Decisione incomprensibile e pericolosa, come ebbe subito ad
evidenziare George Kennan “in un’intervista rilasciata nel 1998, poco dopo
l’approvazione da parte del Senato della prima fase del processo di espansione:
“Penso che i russi reagiranno gradualmente molto male e che questa mossa
inciderà sulle loro politiche. Credo che sia un tragico errore. Non c’era
nessuna ragione per farla. Nessuno stava minacciando nessun altro”[5].
Purtroppo, le sue parole restano inascoltate e, nel
1999,
entrano nella NATO Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Nel 2004 ad essere
accolti nell’Alleanza atlantica sono Bulgaria, Romania Slovacchia e Slovenia.
Contestualmente
anche l’Europa inizia ad annettere vari paesi, tra cui alcuni dell’Europa
dell’est: nel 1995 fanno il loro ingresso Austria, Finlandia, Svezia,
Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Polonia, Slovacchia e Slovenia e,
nel 2004, Cipro, Malta, Bulgaria e Romania.
La
Russia protesta fin da subito lamentando le promesse mancate, ma l’Occidente fa
spallucce. La Russia è debole, e la Nato e la UE decidono di proseguire la loro
espansione, agevolate anche dalle numerose rivoluzioni colorate[6] “organizzate e finanziate
dagli Stati Uniti sul modello del movimento Otpor”,[7] che altro non sono che tecniche
di soft power il cui obiettivo è portare al cambiamento politico dei
paesi presi di mira appoggiando, addestrando e finanziando individui e organizzazioni
di quei paesi e tese a insediare leader filo-occidentali[8].
Nell’aprile
del 2008 la NATO rilascia una dichiarazione circa il futuro ingresso
nell’Alleanza atlantica di Giorgia e Ucraina: “La NATO apprezza le aspirazioni
euroatlantiche dell’Ucraina e della Georgia che le spingono a entrare nella
alleanza. Oggi abbiamo deciso che questi paesi diventeranno membri della NATO”[9].
La
reazione di Putin è immediata, e afferma che l’ammissione di quei due paesi
avrebbe rappresentato una “minaccia diretta” alla Russia[10]. Anche in questo caso
l’Occidente fa spallucce, e le operazioni per l’ingresso nella Nato della
Georgia vanno avanti. È scontro, la Russia, visto che gli avvertimenti non
erano serviti a nulla, invade la Georgia e assume il controllo dell’Abkhazia e
dell’Ossezia meridionale. Putin vuole che sia chiaro che è pronto a scatenare
una guerra pur di impedire che la Russia venga accerchiata delle armi. Se si
guarda un po’ alla storia si comprende come accerchiare un avversario, ex
nemico, non sia mai una buona idea, numerose sono state le guerre causate dalla
c.d. “sindrome da accerchiamento”[11]. Oltre a ciò, come
pretendere che la Russia subisca ciò altre grandi potenze mai permetterebbero? “Le grandi potenze
sono sempre sensibili alle minacce che si creano in prossimità del loro
territorio. In base alla dottrina Monroe, gli Stati Uniti, per esempio, non
tollerano che altre grandi potenze ostili schierino forze militari
nell’emisfero occidentale, tantomeno ai loro confini. Immaginate quale sarebbe
la reazione di Washington se la Cina costruisse una grande alleanza e tentasse
di installare dei governi “amici” in Canada e in Messico. Logica a parte, i
leader russi hanno detto tante volte ai loro omologhi occidentali che non
avrebbero tollerato l’espansione della NATO in Ucraina e in Georgia, e alcun
tentativo di mettere quei due paesi contro la Russia – un messaggio che il
conflitto russo-georgiano del 2008 avrebbe dovuto rendere ancora più chiaro[12]”.
Purtroppo chiaro non è se, nel 2009, è la Ue ad annunciare l’iniziativa di allargamento a Est, denominata Eastern Partnership.
La
Russia protesta nuovamente, vede nell’espansione dell’UE un pretesto per
l’allargamento della NATO. I leader dell’UE negano queste accuse, ma vero è che
gli accordi proposti all’Ucraina non si limitano a questioni economiche ma
anche di sicurezza: “In particolare, chiedeva a tutti i firmatari di
“promuovere una convergenza progressiva sulle questioni di politica estera e di
sicurezza, con l’obiettivo di coinvolgere sempre più profondamente l’Ucraina
nel sistema di sicurezza europeo”. Li invitava anche a sfruttare “pienamente e
tempestivamente tutti i canali diplomatici e militari tra le parti, inclusi
contatti appropriati in paesi terzi e all’interno dell’ONU, dell’OSCE
(Organization for Security and Co-operation in Europe) e di altri forum
internazionali”. Suona chiaramente come una manovra per fare entrare di
straforo l’Ucraina nella NATO, e nessun leader russo assennato l’avrebbe potuta
interpretare in altro modo[13]”.
E
se, come esplicitato in maniera chiara il 9 febbraio 1990 da Gorbaciov a Baker “un
ampliamento della zona Nato non era accettabile”[14], tanto meno lo può essere
l’annessione dell’Ucraina, per la Russia vitale sul piano strategico: “Dal
punto di vista di Putin, la politica degli Stati Uniti e dei loro alleati
europei rappresenta una minaccia alla sopravvivenza della Russia”[15].
Nel 2013 il presidente ucraino Janukovyč rifiuta di
firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea e decide di accettare la
controfferta dei russi.
Il 22 febbraio 2014, un colpo di stato in Ucraina,
dietro cui c’è il governo degli Stati Uniti[16],
porta alla fuga di Janukovyč acuendo la crisi tra Mosca e l’Occidente, e Putin,
nel timore di perdere le basi navali di Sebastopoli, fondamentali per la Russia
non solo a livello militare, ma anche commerciale, decide di intervenire per
separare la Crimea dall’Ucraina ed incorporarla nella Russia.
Caduto
Viktor Janukovyč, alla presidenza dell’Ucraina sale Petro Poroshenko, leader
anti-russo e assertore dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nella UE.
Il governo del presidente Porošenko lancia una
offensiva etichettata antiterrorista: “a che cosa puntasse l’iniziativa
“antiterroristica” lanciata dal governo del presidente, è difficile dirlo.
Soprattutto perché sotto l’etichetta di “terrorista” si assimilava l’intera
popolazione russofona che da secoli vive nelle regioni orientali del Paese…[17]”. È guerra civile. Una guerra sporca,
sotterranea, combattuta da eserciti regolari e gruppi di mercenari provenienti
da tutto il mondo[18] e che, in barba al
diritto internazionale, prende di mira anche la popolazione: se la Russia
utilizza l’energia come fonte di ricatto[19], Kiev taglia acqua ed
elettricità alla Crimea secessionista[20]. Una guerra che provoca
migliaia di morti e oltre un milione di sfollati. Ma di questa catastrofe poco
se ne parla in Europa, mentre l’oligarca ucraino Ihor Kolomojs’kyj – che in passato
aveva dato il suo appoggio alla Tymošenko[21], tra i finanziatori del famigerato
battaglione Azov,[22] formazione paramilitare
fedele a Kiev, ed il cui istituto di credito, Privat Bank, si è reso protagonista
di truffe costate a risparmiatori e correntisti quasi 6 miliardi di dollari”[23]- costruisce la scalata al
potere di Zelens’kyj.
Straordinaria Operazione di influenza culturale che, grazie ad una serie
televisiva, in tre anni, è riuscita a trasformare un comico in un presidente[24]
In un primo momento si
era pensato di puntare su un cantante[25],
poi la scelta era ricaduta su una operazione di influenza più sicura, quella
delle serie televisive, veri e propri strumenti di geopolitica[26]
che, attraverso la seduzione delle immagini sono capaci, giocando con le
emozioni, non solo di trasmettere codici, valori, linguaggio, ecc, ma di
manipolare l’immaginario del mondo, trasformando insuccessi in vittorie,[27]nutrendo
paure, alimentando pregiudizi e desideri e, indicando nemici, estendere il
proprio dominio.
Il
21 aprile 2019 Zelens’kyj viene eletto presidente con il 73% dei voti, ribadisce
l’intenzione di entrare nella UE e nella NATO e viene immediatamente osannato e
omaggiato dai vertici da NATO, UE e USA.
Nel
frattempo, il mondo militare è in forte movimento. Si muovono uomini e mezzi,
si armano Paesi e addestrano soldati. L’aria è tesa, in molti prevedono a breve
un conflitto e l’America si ritira così velocemente dall’Afganistan da
scordarsi persino di avvertire gli alleati.
Il
7 dicembre 2021, in un vertice virtuale tra Biden e Putin, il presidente russo
propone la bozza di un trattato in cui chiede garanzie scritte circa la
promessa da parte degli Stati Uniti di non espandere ulteriormente l’alleanza
atlantica politico-militare e di non accettare al suo interno Paesi che
facevano parte dell’Unione sovietica (tra cui, appunto, l’Ucraina).
Gli
Stati Uniti rifiutano la bozza di Mosca, aumentano finanziamenti e armi ai Paesi
dell’ex Unione Sovietica e vendono 250 carri armati alla Polonia, mentre la NATO
muove uomini e mezzi sui territori dell’alleanza intorno alla Russia.
Nella
notte tra il 23 e 24 febbraio Putin attacca l’Ucraina, è guerra, e non possiamo
dirci sorpresi: “Chiunque abbia un minimo di familiarità con la geopolitica avrebbe
dovuto prevedere tutto questo. L’Occidente si stava infiltrando in Russia e ne
minacciava gli interessi strategici.”[28]
Oggi la propaganda indica in Putin il
problema, ma la verità è che “nessun leader russo avrebbe permesso all’alleanza
militare di un ex nemico di entrare in Ucraina. Nessun leader russo sarebbe
restato a guardare mentre l’Occidente cerca di installare a Kiev un governo
favorevole a quell’alleanza[29].
Esportare la
democrazia
Perché ci siamo comportati in questo modo? Per
esportare la democrazia? Anche a volerlo credere, come non considerare che
questo modo di imporre la democrazia agli altri Paesi, con bombe o operazioni
psicologiche, non ha praticamente mai funzionato?[30] Ci abbiamo provato anche in
Medio Oriente[31], quello che abbiamo
lasciato è distruzione, morte e guerre civili. Abbiamo destabilizzato tutta
l’area, portato alla rinascita di nazionalismi e terrorismo e, in barba al
diritto di asilo, diamo ogni anno miliardi di euro a vari Paesi perché tengano
lontano dalle nostre frontiere, e in condizioni disumane, gente disperata.
E
questo perché la democrazia non si può esportare con guerre, e neanche con
colpi di stato, rivoluzioni colorate o primavere arabe. La democrazia è un
processo che deve nascere dall’interno dei popoli, spontaneamente e senza
fretta, perché la consapevolezza ha bisogno di tempo. Come diceva l’argentino
Juan Bautista Alberdi: “I popoli, proprio come gli individui, non hanno ali”[32], e se vogliono fare
strada, devono evolvere passo a passo. Un processo lento, dunque, che non può
essere né imposto, né accelerato con bombe o operazioni di psyops: “Questo
significa che chi vuol farli volare si assume la responsabilità di vederli
sfracellati come immensi Icari ingenui e furiosi”[33]
Oggi,
dopo aver destabilizzato il Medio Oriente, con la pretesa di voler esportare a
tutti i costi e rapidamente la democrazia liberale nei paesi dell’ex Unione
sovietica, abbiamo destabilizzato anche quest’area del mondo, e lo abbiamo
fatto senza che ve ne fosse alcun bisogno: “La Russia non stava minacciando
nessuno, tanto meno l’Ucraina. È appena il caso di ricordare che la Russia è
stata la prima nazione a riconoscere l’indipendenza dell’Ucraina, chiedeva solo
che restasse una nazione neutrale”[34]. Perché, dunque, portare
avanti questa politica estera così aggressiva e irresponsabile? “La Russia non
ha mai fatto nulla del genere. Mosca non ha mai interferito nelle relazioni fra
gli Usa e il Canada o il Messico. Né è mai intervenuta ufficialmente nelle
relazioni fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea o con il Giappone e Israele,
alleati strettissimi di Washington. Mosca non si è nemmeno mai permessa un
commento”[35].
La doppia morale della guerra
Sono
due le domande più ricorrenti: perché la guerra, e cosa l’ha fatta deflagrare
adesso?
Forse,
come ci dice il Generale Fabio Mini, si tratta di una guerra provocata e voluta
dagli Stati Uniti perché: “Cina e Russia hanno armamenti per affrontare
un conflitto sui propri territori continentali in Asia ed Europa mentre gli
Stati Uniti hanno una connotazione di forte proiezione all’estero, sul mare,
oltremare e nello spazio. Mentre Russia e Cina hanno bisogno di tempo per
prepararsi a un conflitto diretto con qualche chance di sopravvivenza, gli
Stati Uniti devono far presto per impedire che raggiungano la parità. E non
vedono metodi alternativi alla guerra”.[36]
O forse, come scrive l’analista internazionale
Dario Fabbri: “Dietro la crisi ucraina c’è un preciso progetto statunitense” -
denominato “Fomenta e Domina” - e che prevede che “per impedire l’emergere di
una nazione in grado di dominare la propria regione di appartenenza e
potenzialmente di insidiare il primato della superpotenza degli USA la tattica più
efficace, e meno dispendiosa, è acuire le tensioni tra i principali attori
regionali”.[37]
O,
forse, per qualche altro motivo, questo lo sapremo con il tempo.
Due
sono però le cose certe.
1.
se
veramente avessimo voluto evitare la guerra non ci saremmo comportati in modo
così irresponsabile.
2.
La
diplomazia non ha funzionato.
La
diplomazia non è riuscita ad evitare il conflitto perché, purtroppo, in questi
ultimi decenni abbiamo perso di credibilità. Abbiamo mentito troppe volte e, e
troppe volte, grazie a quelle bugie, abbiamo, violando apertamente il diritto
internazionale, attaccato Paesi che non ci avevano fatto nulla.
Con
la caduta del muro di Berlino, il crollo dell’Impero sovietico e la fine della
guerra fredda, si era aperta una straordinaria possibilità: il mondo avrebbe
potuto finalmente destinare parte delle risorse, fino ad allora riservate alla
corsa agli armamenti, a risolvere problemi come l’inquinamento, la giustizia
sociale, la povertà interna agli stati ed internazionale. Le Nazioni Unite, il
cui antagonismo tra le grandi potenze aveva bloccato le attività, poteva
finalmente operare per la giustizia e la pace, e diventare veramente una
costituzione dell’intera umanità.
Ma
ciò, purtroppo, non è avvenuto, anzi, dopo il crollo del muro di Berlino, 1989,
si è registrata una preoccupante escalation
dei conflitti armati.
Nel
1991, le potenze occidentali organizzano, contro l’Iraq che aveva illegalmente
invaso il Kuwait, una delle più imponenti spedizioni militari della storia
umana. “Nel corso dei 42 giorni di
bombardamenti è stata utilizzata una quantità di esplosivo superiore a quella
usata dagli Alleati durante l’intera Seconda guerra mondiale… ed ha provocato
non meno di 150.000 vittime, non solo irachene ma anche palestinesi, giordane,
sudanesi ed egiziane”. [38]
È
l’inizio di una escalation di guerre,
brutalità, illegalità e morte senza precedenti, in cui si assiste ad uso
sistematico della tortura e di armi illegali di distruzione di massa, che
colpiscono le popolazioni civili in maniera indiscriminata; ad un costante
ricorso alle già usate, ad abusate, tecniche di guerra psicologica per
provocare, o per giustificare, le aggressioni[39],
alla voluta la distruzione delle infrastrutture del paese nemico per
prolungarne, anche dopo il conflitto, agonia e morte[40] per,
poi, frodare sugli aiuti internazionali[41],
guadagnare sulla ricostruzione ed assicurare lo sfruttamento delle risorse da
parte delle proprie multinazionali[42], le
cui strutture vengono difese da mercenari o, ancora, garantirsi il controllo
della zona di interesse attraverso una riedizione moderna dei protettorati[43].
Guerre
asimmetriche, in cui abbiamo scaricato tutta la nostra potenza di fuoco contro
paesi del Terzo Mondo che non ci minacciavano in alcun modo ed in cui “il
diritto internazionale vigente e il principio della pace, che ne è la norma
fondamentale, non sono semplicemente violati. Essi sono apertamente negati in
nome di una nuova legittimità politica che pretende di imporsi come giuridica:[44]
«se il potere viene usato per fare
giustizia, il diritto seguirà»[45]
Guerre
che hanno causato milioni di morti, e che sono state possibili grazie
all’inerzia, impotenza e sorprendenti legittimazioni ex post delle istituzioni
internazionali[46]:
“In realtà il Consiglio di sicurezza ha abdicato alla sua funzione primaria –
il controllo e la limitazione dell’uso della forza internazionale – e si è
mostrato pronto non solo ad autorizzare l’uso della forza al di fuori delle
previsioni della Carta, ma anche a legittimare ex post le condotte belliche
delle grandi potenze, compreso l’impiego di armi di distruzione di massa
quasi-nucleari, come i fuel-air explosives[47] e le micidiali bombe
«taglia-margherite» (daisy-cutter[48])…”[49].
Armi
micidiali di cui abbiamo fatto largo uso[50] e, spesso, più per
sperimentarle che per reale necessità[51], come già avvenuto per le
bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaky[52].
Un’inerzia e impotenza delle istituzioni internazionali che ha portato gli Stati Uniti, dopo aver riesumato la dottrina cinquecentesca della guerra “umanitaria”[53], a riproporre anche la guerra preventiva con cui si puniscono delle condotte prima ancora che queste vengano adottate, e senza la certezza che verranno messe in pratica in futuro[54].
Guerre connotate da una disumanità che non si è palesata solo durante il conflitto, ma anche dopo con una ferocia che non si è fermata neanche davanti alla sofferenza dei bambini, causando la morte di migliaia di loro. Basti anche qui citare quanto avvenuto in Iraq, in cui non solo i soldi per la ricostruzione, circa 23 miliardi, sono, nella quasi totalità spariti ma, i pochi utilizzati, non sono stati spesi non per ricostruire gli ospedali e dotarli delle attrezzature base, sono stati usati per attuare il programma di conversione monetaria in Iraq, ovvero per poter rimpiazzare i dinari con la faccia di Saddam. E così, mentre si spendeva tempo e denaro per cambiare la moneta, negli ospedali distrutti mancavano farmaci e attrezzature assolutamente vitali, essenziali ed economici, come la vitamina K, l’adrenalina, le agocanule, le maschere per l’ossigeno, i ventilatori, ecc. con la conseguenza che, finita la guerra, i neonati, distrutti gli impianti fognari dalle bombe, morivano per diarrea e disidratazione dopo essere stati massacrati per giorni, senza successo, nel tentativo di inserire nelle loro vene un’agocanula troppo grande. Il Dott. Richiard Garfiel consulente per l’Iraq dell’Organizzazione mondiale della sanità ha affermato: “Non abbiamo rifornito le strutture ospedaliere di attrezzature basiche perché abbiamo preferito dedicarci a cose più simboliche e visibili, di impatto[55]”.
Ma ancora non basta, infatti, “Karol Sikora, responsabile del programma oncologico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha ulteriormente osservato sul «British Medical Journal»: «Le attrezzature indispensabili per la radioterapia, i farmaci chemioterapici e gli analgesici sono costantemente bloccati dai consiglieri americani e britannici [del Comitato per le sanzioni dell’ONU ]. Sembra esserci l’idea piuttosto ridicola che questi agenti possano essere convertiti in armi chimiche o di altra natura». Per esempio, oltre mille prodotti salvavita sono sottoposti a “trattenuta” malgrado gli appelli del segretario generale dell’ONU Kofi Annan perché siano consegnati «immediatamente». Ha commentato il professor Sikora: La cosa più triste che ho visto in Iraq erano i bambini che morivano perché non c’erano farmaci chemioterapici né analgesici. Sembrava pazzesco che non potessero avere della morfina, che per chiunque soffra di dolori dovuti al cancro è il farmaco migliore. Quando ero lì, avevano una piccola boccetta di pillole di aspirina per accontentare a turno duecento pazienti in preda ai dolori”[56].
Guerre a cui abbiano partecipato, condotte in aperta violazione del diritto internazionale, che hanno causato milioni di morti, e per cui non siamo mai stati puniti perché oggi è la forza, non la legalità, la principale fonte di legittimazione del diritto internazionale, un diritto che si limita a prendere atto di quanto deciso, e fatto, dai potenti:
“Sono le
grandi potenze che «fanno» il diritto internazionale e la scienza del diritto
internazionale ha il compito di formalizzare come nuove regole le decisioni via
via assunte dalle grandi potenze[57]”.
Tutto
è pericoloso, non è diritto, non è giustizia e, soprattutto, è illusorio possa
essere pace.
“La storia è maestra, ma non ha scolari”
Questa frase di Antonio Gramsci è quanto
mai attuale. Infatti, una situazione analoga a quella odierna l’abbiamo già
vissuta. Basti pensare alla globalizzazione del 1800: “Il balzo in avanti
compiuto dalla globalizzazione del pianeta negli anni che precedono il 1914 è
paragonabile soltanto ai nuovi scenari mondiali che si sono aperti con il
termine della Guerra fredda”[58].
Oggi come ieri l’Europa è già stata
vittima della sua vocazione messianica di voler imporre al mondo quello che
riteneva giusto, nel suo voler “incivilire” i popoli extraeuropei, “che altro
non significava che popoli diversi dovevano cambiare e assomigliare
all’immagine che gli europei avevano di sé stessi”[59].
Gli
strumenti per riuscirci gli stessi di oggi, guerre e l’imposizione di riforme e
cambiamento di regime politico.[60]
La “missione civilizzatrice”, poi, era spesso affidata, ieri come oggi, a
compagnie private[61]
e si traduceva in “asservimento
brutale, violenza estrema e indiscriminata e disprezzo di qualsiasi diritto
delle popolazioni autoctone[62]”.
“Tra il 1815 e il 1870 lo slogan «commercio, non
governo» costituiva il nucleo della politica d’oltremare britannica[63]”:
In India, nel solo ultimo quarto del XIX secolo sarebbero morte tra i 12,2 e i
29,3 milioni di persone: malgrado le carestie fossero ricorrenti, non si creavano
adeguate scorte perché la produzione agricola doveva nutrire la Gran Bretagna.
Sappiamo che le razioni alimentari dei campi nazisti erano intenzionalmente
insufficienti perché, coerentemente con le premesse socialdarwiniane, dovevano
contribuire all’eliminazione dei più deboli. Eppure in India l’amministrazione
coloniale inglese arrivò a fornire, per lavori manuali pesanti, razioni
inferiori a quelle del lager di Buchenwald nel 1944-45, il periodo in cui la
Germania nazista soffrì la massima penuria[64]”
La
conquista dei territori si presentava non solo brutale, ma era spesso oggetto
di attriti e tensioni tra le varie potenze per l’occupazione dei territori
dalle importanti risorse che il diritto internazionale non era riuscito a
limitare: “Le colonie diventarono le sorgenti principali della ricchezza
nazionale e la maggiore preoccupazione della politica dei governi[65]”.
Per
far fronte alla crisi, esattamente come si sta cercando di fare oggi, i paesi
europei tornarono a imporre dazi protettivi, ma il fatto che buona parte delle
risorse venissero destinare alle armi, piuttosto che a migliorare le condizioni
di vita della popolazione, non fece che alimentare la paura e la rabbia nella
popolazione già smarrita dalla grande trasformazione in atto nella società,
mentre il diritto internazionale
“pronto a condannare aspramente i massacri perpetrati dai c.d. popoli barbari”
ma non “a fare altrettanto quando i massacri erano perpetrati dai c.d. popoli
civili[66], giustificando[67] occupazione e sterminio e
non limitando l’arroganza e l’avidità delle grandi potenze, ci condusse alla Prima
guerra mondiale.
Una
guerra in cui l’Europa scivolò senza che, come evidenziò il primo ministro
inglese Lloyd George nel
suo discorso del 23 dicembre 1920, nessun governo l’avesse voluta
effettivamente: “tutti, in certa guisa, vi sono sdrucciolati, barcollati,
inciampati dentro[68]”.
Era bastato un attimo
perché la paura dell’accerchiamento, la corsa agli armamenti, le alleanze
segrete e le provocazioni tra le nazioni sfuggissero di mano per imboccare una
via senza ritorno: “Un grande storico inglese ha scritto che la guerra scoppiò
per la rigidità degli orari ferroviari, vincolata a sua volta alla rigidità dei
piani militari”[69].
Una
guerra che, dichiarata il 28 luglio 1914, non sorprese Vilfredo Pareto, che da
molti anni criticava la politica aggressiva degli Stati: “la guerra è stata
scatenata da Stati che avevano lo stesso scopo: consolidare l’egemonia,
favorire l’espansione, impedire agli avversari di realizzare programmi
d’ingrandimento territoriale e coloniale[70]”.
La Prima guerra mondiale
causò oltre sedici milioni di morti, ma non fermò la “missione
civilizzatrice” dell’Occidente. Alle popolazioni “barbare” si sostituì il
termine, più politically correct, di nazioni “arretrate”, e si continuò a
giustificare il “sacro” mandato di civilizzazione[71]. Ancora
una volta, il non frenare l’arroganza, l’avidità e il desiderio di potenza
dell’Occidente ci traghettò, in pochi anni, verso la Seconda guerra mondiale.
Dopo
80 anni pare che nulla sia mutato. L’Europa continua a commettere gli stessi
errori. Oggi come ieri, per giustificare guerre e depredare risorse, siamo
tornati ad ab-usare del diritto, o inventando nuovi istituti, come l’instant custom («consuetudine
giuridica istantanea») o, ancora, riesumando vecchie dottrine elaborate tra il
1400-1600 per giustificare l’occupazione coloniale del Nuovo Mondo, come:
“l’uso legittimo della forza” in Afghanistan, la “legittima difesa preventiva”
in Iraq o “l’intervento umanitario” in Kosovo e Libia[72].
Conclusioni
Oggi la situazione è estremamente
pericolosa, e trova non poche analogie con il passato.
Oggi come ieri la rapidissima
trasformazione ha trovato le classi dirigenti impreparate ad assicurare la
stabilità interna, e a risolvere le immense diseguaglianze che il modello
capitalistico del libero mercato sta causando alla popolazione. Un liberismo
selvaggio ha trasformato «ogni
manifestazione vitale... in una sorta di parodia dell’incubo contabile»,[73] con i lavoratori che, come nell’Ottocento ridotti a merci in concorrenza tra
loro, sono costretti ad accettare contratti di lavoro disumanizzanti[74].
Oggi come ieri il
timore dell’accerchiamento e il desiderio di conquista e di potere portano i
vari paesi ad investire più nella corsa agli armamenti che non a migliorare le
condizioni di vita della popolazione.
Oggi come ieri le
nazioni decidono di risolvere in proprio, e contro le altre, i problemi, mentre
potenze in declino e potenze in ascesa si sfidano a chi ha il “bottone” più
grosso[75],
o mettono in atto pericolose e gratuite provocazioni: “come la tattica
spicciola… condotta spostando portaerei e navi da guerra nelle acque contestate
dei mari cinesi” contro chi ha mitizzato l’arma assoluta e si sta concentrando
per realizzarla”[76]
Oggi come ieri le
varie potenze, cui torna ad affacciarsi un pericoloso nazionalismo nostalgico
ed imperiale[77],
si contendono le risorse dei paesi del terzo Mondo[78]
avvalendosi di compagnie private[79]
che predispongono contratti profondamente ingiusti, tesi solo a fornire un
insindacabile fondamento giuridico-morale ai titoli vantati, e si avvalgono di
mercenari (oggi chiamati sicurezza privata, è più politically correct) per
garantire l’”efficienza” del lavoro: “Milioni di ettari d’Africa ingoiati in un sol
boccone, 2,41 in cinque anni, in Etiopia, Ghana, Mali, Sudan e Madagascar con
la semplice firma in fondo a un contratto, ceduti per venti, trenta, novanta
anni, per sempre, come colonie agricole; e gli uomini che vi sopravvivono sono
venduti con loro, senza aver diritto di dire no, come ai tempi della servitù
della gleba. E del colonialismo[80]”.
Oggi come ieri un
individualismo sfrenato ed aggressivo si è impossessato di uomini e Paesi, le
decisioni vengono prese in ambiti sempre più limitati e, a causa della velocità
delle comunicazioni, sempre più rapidamente a scapito della riflessione. Le
grandi potenze si incontrano senza voler veramente porre in essere alcun cambiamento,
senza affrontare i problemi che causano maggiore tensione, al più stipulando
trattati senza che vengano predisposte le strutture per poterli attuare.
Oggi come ieri il
diritto internazionale non serve a limitare la violenza e l’avidità delle
grandi potenze, ma ad alimentarne sempre di più l’arroganza ed il senso di
impunità, con la conseguenza che le guerre per il profitto sono sempre più
atroci e disumane.
Oggi come ieri la
popolazione arrabbiata e spaventata reagisce in vari modi. Chi si suicida, chi
si “ritira dal mondo” opponendo un netto rifiuto alla disumanizzante
globalizzazione[81],
chi si rifugia in atteggiamenti nazional-patriottici, chi sceglie la via della
violenza e del terrore: “nessuno sapeva quanti terroristi erano attivi né
quanto efficaci o diffuse fossero le loro reti: l’unica certezza era che
sarebbero tornati a colpire a loro discrezione, e che la polizia non poteva
fare molto per fermarli[82]”.
Oggi come ieri c’è
la sensazione di vivere in un’epoca gravida di pericoli, si parla di tramonto
imminente dell’Occidente, e non solo a causa della degenerazione interna. Vi è
chi, oggi come ieri, lo vede nel calo demografico, chi nella degenerazione
della razza bianca[83],
chi in una imminente guerra.
Per far fronte al
“degenerazione” causata dalla globalizzazione, e salvare la civiltà dalle
insidie delle sue perversioni, vi è chi ripropone l’immagine dell’uomo
marziale, chi auspica il ripristino della leva militare obbligatoria, chi
organizza gite delle scuole medie a caserme, così da poter mostrare “la feroce
bellezza” di mezzi militari ed armi a bambini ancora fortemente suggestionabili
e manipolabili, salvo poi proclamarsi un fautore della pace.
Le analogie con
quanto successo nell’Ottocento sono evidenti, e il rischio di veder nuovamente accadere
su scala planetaria ciò che si è conosciuto su scala europea all’inizio del XX
secolo, dopo il fallimento della prima globalizzazione,[84] è
reale. Fermiamoci!
Da
più parti si auspica un ritorno alla ragione, alla politica del confronto e del
dialogo affidata a persone con competenza ed esperienza, non a prodotti del
marketing, e all’elaborazione di un diritto internazionale che, sottratto
all’arroganza dei potenti, sappia essere veramente giusto ed equo.
È
possibile, ed è necessario, se si vuole la pace: “una grande speranza che si realizzerà solo se si terrà conto della
storia…Un passato che non deve paralizzare il presente, ma aiutarlo ad essere
diverso[85]”.
Per
poter fare questo però, per poter tornare alla ragione, la prima cosa da
fermare è questa irresponsabile propaganda che porta ad agire, e reagire, in
base a un emozioni sapientemente manipolate, provocando reazioni che mai avremmo
immaginato di dover rivedere, e che sono contrarie all’umanità, alla ragione ed
al diritto. Si pensi alla decisione di cancellare un corso universitario
gratuito solo perché vi si insegna Dostoevskij, o a quella di impedire ad
atleti russi di partecipare alle paraolimpiadi o, ancora, di estromettere dalla
fiera del libro dei ragazzi gli autori russi. Se si usasse la ragione si
dovrebbe fare l’esatto opposto. Ma questi sono i disastri che è in grado di
fare una propaganda irresponsabile che, è bene sottolinearlo con grande
chiarezza, non solo è devastante, ma è anche proibita. Infatti, varie risoluzioni
dell’ONU adottate dalla Seconda guerra mondiale in poi (tra le tante citiamo la
110, la 381 e la 819) proibiscono la propaganda perché, si legge, “rischia di
provocare od incoraggiare ogni minaccia alla pace, violazione della pace o atto
di aggressione”.
La propaganda di guerra è un
crimine, ed è il peggior crimine che si possa compiere contro la pace: ci si
riprende molto più velocemente dalle conseguenze di una guerra, che non dall’odio
che è in grado di scatenare la propaganda. Fermiamoci!
Bibliografia
Attali
Jacques, E. Bitossi, Domani, chi
governerà il mondo? Fazi Editore, 2012.
Gagliano Giuseppe,
Guerra psicologica, Fuoco edizioni, 2013
Giannuli Aldo, Come
i servizi segreti stanno cambiando il mondo, Ponte alle grazie, 2018.
Glover Jonathan, Humanity. Una storia morale del ventesimo secolo, il Saggiatore, Milano,
2002.
Gobineau Joseph-Arthur, Saggio
sulla diseguaglianza delle razze umane. Rizzoli, 1998
Grossi, Paolo. L'Europa del diritto. Editori Laterza, 2016.
Keynes J. M.
, Autosufficienza nazionale (1933) in ID, La fine del laissez-faire e
altri scritti, Bollati Boringhieri, 1991
MacMillan, Margaret. 1914:
Come la luce si spense sul mondo di ieri. Rizzoli, 2020.
Mearsheimer John
J., La grande illusione, Luiss Press, 2019.
Mini Fabio:
Soldati,
Einaudi, 2008
Perché siamo
così ipocriti sulla guerra. Un generale
della NATO racconta, Chiarelettere, 2012.
Mediterraneo in
guerra, Einaudi, 2012;
Che guerra sarà,
Il Mulino, 2017.
Moïsi Dominique, La
geopolitica delle serie tv. Il trionfo della paura. Armando editore, 2017.
Nafeez Mosaddeq
Ahmed, Dominio. La guerra americana all’Iraq e il genocidio umanitario,
Fazi editore, 2003
Nazemroaya M. Darius. La Globalizzazione della Nato.
Arianna Editrice, 2014.
Nitti, Francesco Saverio. L'Europa senza Pace: Nuova edizione con uno scritto di Giulio
Sapelli (Sulle orme della Storia). goWare, 2014.
Pareto, Vilfredo. La
Prima guerra mondiale: Le cause, le conseguenze. Editrice La Scuola, 2015.
Pierantoni Augusto, Storia
del diritto internazionale del XIX secolo, Marghieri, 1876.
Renault L., Introduction à
l’étude du droit international [1879], in L’œuvre internationale de Louis
Renault, Éditions internationales, Paris 1932, pp. 11-12, 17.
Rodogno, Davide. Contro il massacro: Gli interventi
umanitari nella politica europea 1815-1914. Editori Laterza, 2012.
Ruggeri Fedele e Ruggiero Vincenzo, a cura di, Potere e violenza. Guerra, terrorismo e
diritti. Franco Angeli edizioni, 2009
Simmel Georg, Le metropoli e la vita dello spirito, Armando Editore, 1995
Taylor, Alan John Percival, War by Time-Table. How the
First World War Began, n. ed. Pen & Sword Books, Barnsley 2005
Teti Sandro e
Carta Maurizio, a cura di, Attacco all’Ucraina, Sandro Teti Editore,
2015
Westlake J., Chapters
on the Principles of International Law, Cambridge University Press,
Cambridge 1894.
Weiner Tim, CIA,
Edizioni BUR, 2010.
Zoja, Luigi.
La morte del
prossimo, Einaudi, 2010
Paranoia.
La follia che fa la storia, Bollati Boringhieri, 2011
Utopie
minimaliste: Un mondo più desiderabile anche senza eroi.
Chiarelettere, 2013.
Zolo, Danilo.
Terrorismo
umanitario. Dalla guerra del Golfo alla strage di Gaza,
Diabasis editore, 2009
La giustizia dei vincitori: Da
Norimberga a Baghdad, Editori Laterza, 20114.
Sitografia.
Pietro Orizio, Ucraina,
la guerra mercenaria, in Limes, n. 4 del 2018 Lo Stato del Mondo, https://www.limesonline.com/cartaceo/ucraina-la-guerra-mercenaria
Dario
Quintavalle, Cinque anni dopo Maidan, l’Ucraina sta meglio. L’Europa sta
peggio, in Limes, https://www.limesonline.com/ucraina-russia-europa-crimea-donbas-maidan-ue-bruxelles-ungheria-romania-moldova/111556
Maurizio Vezzosi, Oligarchi,
privatizzazioni e guerra nell’Ucraina che attende Trump, in Limes, https://www.limesonline.com/oligarchi-privatizzazioni-e-guerra-nellucraina-che-attende-trump/95276
Fulvio Scaglione, Qualcosa
di nuovo sul fronte ucraino, in Limes n. 5/2020, La Russia non è la Cina, https://www.limesonline.com/cartaceo/qualcosa-di-nuovo-sul-fronte-ucraino
Fulvio Scaglione, Lo
stallo Ucraino, in Limes, 4/2019, Antieuropa. L’impero europeo
dell’America, https://www.limesonline.com/cartaceo/lo-stallo-ucraino
Vitalij Tret’jakov, Mosca
e Washington incompatibili sul pianeta terra, in Limes n. 2/2017, Chi
comanda il mondo, https://www.limesonline.com/cartaceo/mosca-e-washington-incompatibili-sul-pianeta-terra
Dario Fabbri, Fomenta
e domina, il progetto degli Usa in Ucraina, in Limes, L’Ucraina tra noi e
Putin, n. 4/2014, https://www.limesonline.com/fomenta-e-domina-il-progetto-degli-usa-in-ucraina/60831
Carlo Bonini e Giuseppe d’Avanzo,
Doppiogiochisti e dilettanti tutti gli italiani del Nigergate, in Repubblica,
24 ottobre 2005, https://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2011/07/31/news/doppiogiochisti_e_dilettanti_tutti_gli_italiani_del_nigergate-19844297/
Danilo Zolo, La conquista neocoloniale della Libia, In
http://www.juragentium.org/topics/wlgo/it/libia.htm
Trump fa la gara con Kim Jong-un: “Il mio bottone nucleare più grande del tuo” https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/03/trump-fa-la-gara-con-kim-jong-un-il-mio-bottone-nucleare-piu-grande-del-tuo-poi-minaccia-di-tagliare-gli-aiuti-ai-palestinesi/4070639/
Africa in vendita in cambio di cibo, La Stampa, 26 maggio 2009, Africa in vendita in cambio di cibo: http://www.lastampa.it/2009/05/26/esteri/africa-in-vendita-in-cambio-di-cibo-5H1zy6YYRkLSbjDT5BvozM/pagina.html
In
copertina, il frontespizio del Memorandum di conversazione tra Mikhail
Gorbachev e James Baker a Mosca, 9 febbraio 1990, scaricabile al seguente link:
https://nsarchive.gwu.edu/document/16116-document-05-memorandum-conversation-between
Fonte:
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, FOIA 199504567.
[1] John J.
Mearsheimer, La grande illusione, Luiss Press, 2019.
[2] Fabio Mini, Perché siamo così
ipocriti sulla guerra. Un generale
della NATO racconta, Chiarelettere, edizione digitale, 2012.
[3] Basti qui
accennare alla guerra psicologica combattuta dagli Stati Uniti per “contrastare
il comunismo” in Medioriente, zona strategicamente fondamentale per le sue
risorse di petrolio ed idrocarburi. Iniziata la guerra fredda, gli americani
decisero che l’arma migliore per frenare il possibile contagio comunista
dell’area, la cui ideologia era prevalentemente atea, fosse fomentare
l’estremismo islamico. Fu Eisenhower ad avere chiaro il progetto, che evidenziò
in una conferenza tenuta il 7 settembre 1957: “Il presidente sosteneva di voler
promuovere l'idea di una jihad islamica che si opponesse al comunismo senza
Dio. “Dovremo fare tutto il possibile per porre l'accento sull'aspetto di
guerra santa” disse nel settembre del 1957 a una riunione alla Casa Bianca a
cui partecipavano Frank Wisner, Forest Dulles, il sottosegretario di Stato per
il Medio Oriente William Rountree e i membri dello stato maggiore”. Memorandum
di Goodpaster sulla conferenza con il presidente del 7 settembre 1957, DDEL
(Dwight D. Eisennhower Presidential Library, Abilene KS). Cfr. Tim Weiner, CIA,
Edizioni BUR, Marzo 2010, Milano, pg. 134. Ma non solo. “Foster Dulles propose
di creare una task force segreta sotto i cui auspici la C.I.A. avrebbe fornito
armi, denaro e intelligence americani a re Saud d'Arabia, a re Hussein di
Giordania, al presidente del Libano Camille Chamoun e al presidente dell'Iraq
Nuri Said”. Ibidem, pg. 133. Dunque, per impedire il contagio comunista in
Medioriente gli Stati Uniti decisero di operare in due modi:
-
promuovere l’estremismo islamico e porre l’accento sulla guerra santa;
- corrompere e finanziare i vertici
delle varie nazioni dell’area perché operassero secondo i desiderata americani:
“L’agenzia considerava ogni leader politico musulmano che non giurasse fedeltà
agli Stati Uniti “un bersaglio legalmente autorizzato della politica della CIA”
come ha scritto Archei Roosevelt, capo della stazione turca e cugino di Kim
Roosevelt, lo zar della C.I.A. Medioriente. Archie Roosevelt, For Lust of
Knowing Memoirs of an Intelligence Officer, Little, Brown, Boston 1988, p.
444-448. Per avere un’idea di come, grazie alle armi della guerra psicologica,
stata trasformata l’area consiglio di vedere il video di Nasser del 1953 al
seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=TX4RK8bj2W0 .
[4] Svetlana Savranskaja e Tom Blanton del National
Security Archive, pubblicato in, Briefing Book # 613, 12 dicembre 2017. NATO
Expansion: What Gorbachev Heard. Declassified documents show security
assurances against NATO expansion to Soviet leaders from Baker, Bush, Genscher,
Kohl, Gates, Mitterrand, Thatcher, Hurd, Major, and Woerner. Slavic Studies
Panel Addresses “Who Promised What to Whom on NATO Expansion?”I documenti declassificati mostrano garanzie di
sicurezza contro l'espansione della NATO ai leader sovietici di Baker, Bush,
Genscher, Kohl, Gates, Mitterrand, Thatcher, Hurd, Major e Woerner, in https://nsarchive.gwu.edu/briefing-book/russia-programs/2017-12-12/nato-expansion-what-gorbachev-heard-western-leaders-early.
[5] John J.
Mearsheimer, 2019. Citato in Thomas L. Friedman, “Foreign Affairs: Now a Word
from X”, New York Times, 2 maggio 1998.
[6] La rivoluzione
delle rose in Georgia (2003), La rivoluzione arancione in Ucraina (2004), La
rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan (2005), ecc. Dal 2012 al 2014 gli
Stati Uniti fanno di tutto per incoraggiare una rivoluzione colorata anche in
Russia. Cfr. Mearsheimer, 2019.
[7] Cfr. tra i tanti:
Fabio Mini, Mediterraneo in guerra, Einaudi, 2012; Aldo Giannuli, Come
i servizi segreti stanno cambiando il mondo, Ponte alle grazie, 2018; Giuseppe
Gagliano, Guerra psicologica, Fuoco edizioni, 2013.
[8] John J.
Mearsheimer, 2019. Nel dicembre 2013 Victoria Nuland, vicesegretario di Stato
per l’Europa, ha stimato che a partire dal 1991 gli Stati Uniti avevano
investito più di cinque miliardi di dollari per aiutare l’Ucraina a realizzare
“il futuro che si merita”. Nuland, “Remarks at the U.S.-Ukraine Foundation
Conference”, Washington, DC, 13 dicembre 2013. In prima linea ci sono il
National Endowment for Democracy (NED), una fondazione privata senza fini di
lucro finanziata in larga misura dal governo degli Stati Uniti e Albert
Einstein Institution di Gene Sharp.
[9] Ibidem. “Bucharest
Summit Declaration Issued by the Heads of State and Government Participating in
the Meeting of the North Atlantic Council in Bucharest on 3 April 2008”, http://www.summitbucharest.ro/en/doc_201-html
.
[10] Ibidem. “NATO
Denies Georgia and Ukraine”, BBC News , 3 aprile 2008; Adrian Blomfield e James
Kirkup, “Stay Away, Valdimir Putin Tells NATO”, Telegraph, 5 aprile 2008;
International Crisis Group, “Ukraine: Running Out of Time”, Europe Report, n.
231, 14 maggio 2014,
https://www.crisisgroup.org/europe-central-asia/eastern-europe/ukraine/ukraine-running-out-time
.
[11] Consiglio
sull’argomento lo splendido saggio di Luigi Zoja, Paranoia. La follia
che fa la storia, Bollati Boringhieri, 2011.
[13] Ibidem. Per
informazioni di base e una copia dell’Association Agreement, che il presidente
dell’Ucraina ha firmato in alcune parti il 21 marzo 2014 e il 27 giugno 2014,
vedi “A Look at the EU-Ukraine Association Agreement”, European Union External Action , 27 aprile 2015, http://www.euam-ukraine.eu/eu-and-euam/ .
[14]
National security Archive, Record of Conversation between Mikhail Gorbachev and
James Baker, February 9, 1990, in https://nsarchive.gwu.edu/document/16116-document-05-memorandum-conversation-between;
Memorandum of conversation between Mikhail Gorbachev and James Baker in Moscowhttps://nsarchive.gwu.edu/document/16117-document-06-record-conversation-between
[15] John J.
Mearsheimer, 2019.
[16] Ibidem.
[17] Sandro Teti e
Maurizio Carta, a cura di, Attacco all’Ucraina, Sandro Teti Editore,
2015.
[18] Pietro Orizio, Ucraina,
la guerra mercenaria, in Limes, n. 4 del 2018, Lo Stato del Mondo.
[19] John J. Mearsheimer, 2019: “ha alzato il
prezzo del gas che la Russia vende all’Ucraina, pretendendo il pagamento
immediato degli arretrati, e a un certo punto ha addirittura sospeso la
fornitura di gas all’Ucraina”.
[20] Dario Quintavalle, Cinque
anni dopo Maidan, l’Ucraina sta meglio. L’Europa sta peggio, in Limes,
https://www.limesonline.com/ucraina-russia-europa-crimea-donbas-maidan-ue-bruxelles-ungheria-romania-moldova/111556
[21] La c.d.
"Giovanna d'Arco della Rivoluzione Arancione".
[22] Maurizio Vezzosi, Oligarchi,
privatizzazioni e guerra nell’Ucraina che attende Trump, in Limes, https://www.limesonline.com/oligarchi-privatizzazioni-e-guerra-nellucraina-che-attende-trump/95276 :”La saldatura –
quando non la sovrapposizione – tra gruppi neonazisti e organizzazioni
criminali fornisce ai primi un potenziale non irrilevante tanto a livello
militare quanto a livello politico. Lo scorso anno, ad esempio, Dmytro Yarosh,
fondatore della formazione neonazista Pravy Sektor, è stato nominato
consigliere del ministero della Difesa ucraino. A ottobre i vertici del
battaglione neonazista Azov hanno fondato il partito Corpi nazionali, agli
ordini del comandante del battaglione Andriy Biletsky”.
[23] Fulvio Scaglione, Qualcosa
di nuovo sul fronte ucraino, in Limes n. 5/2020, La Russia non è la Cina.
[24] A ottobre del 2015
debutta in Ucraina una serie televisiva di satira politica dal titolo “Il servo
del popolo”. Il servo del popolo è la storia di un tranquillo insegnante di
storia di Kiev di 31 anni, divorziato e arrabbiato col governo e con le
istituzioni ucraine. Un sentimento che esplode in tutta la sua violenza durante
una lezione in classe quando si lancia in un monologo appassionato, volgare e
violento, contro le ingiustizie della vita nel Paese. Il video, ripreso dai
suoi studenti col cellulare, finisce su YouTube. In breve, quell’insegnate
diventa presidente dell’Ucraina, un capo di Stato onesto e contro il sistema.
Ci sarebbe molto altro da dire sulla serie venduta da Netflix, entrare nel
dettaglio delle puntate permette di avere contezza di tutte le principali
tecniche di manipolazione, ma quello che qui mi interessa è come il
protagonista della serie, ossia l’attore comico che interpreta l’insegnante,
alla fine della seconda stagione, a marzo 2018, fondi realmente un partito
politico “Servo del popolo”, proprio come il titolo della fiction, si candidi
realmente alla presidenza dell’Ucraina e nel 2019, realmente, vinca le
elezioni, divenendo realmente Presidente dell’Ucraina, peraltro, con il 73% dei
voti. Una percentuale di preferenze mai raggiunta da nessun presidente del
paese. In alcune regioni del Paese ha ottenuto 88% dei voti.
[25] Fulvio Scaglione, Lo
stallo Ucraino, in Limes, 4/2019, Antieuropa. L’impero europeo dell’America:
“Non di meno fu testato anche Svjatoslav Vacar0uk, front man del gruppo rock Okean
Elzyj, da quasi venticinque anni sulla breccia, una specie di Bono d’Ucraina”.
[26] Cfr. Dominique
Moïsi, La geopolitica delle serie tv. Il trionfo della paura. Armando
editore, 2017.
[27] Ibidem. “Le sue
discutibili avventure militari in Afghanistan e in Iraq diventano il soggetto
di serie potenti come Homeland, che affascinano il pubblico mondiale”.
[28] John J.
Mearsheimer, 2019
[29] Ibidem
[30] Ibidem. “…gli
Stati Uniti hanno una ricca tradizione di insuccessi nel tentativo di imporre
la democrazia ad altri paesi. Due professori della New York University, Bruce
Bueno de Mesquita e George Downs, riferiscono che tra la Seconda guerra
mondiale e il 2004, “gli Stati Uniti sono intervenuti più di 35 volte in paesi
in via di sviluppo di tutto il mondo […]. In un solo caso – la Colombia dopo la
decisione, adottata dall’America nel 1989, di scatenare una guerra contro le
droghe – si è instaurata entro dieci anni una democrazia matura e stabile. È un
tasso di successo inferiore al 3%”. Pickering e Peceny hanno identificato un solo
caso – Panama dopo l’estromissione di Manuel Noriega – in cui l’intervento
americano abbia portato chiaramente all’affermazione di una democrazia
consolidata. William Easterly e due suoi colleghi della New
York University hanno cercato di capire come abbiano inciso durante la guerra
fredda gli interventi militari degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica sulle
prospettive di una forma liberale di governo, e hanno scoperto che “gli
interventi delle superpotenze sono seguiti da un declino significativo della
democrazia, e che gli effetti pratici sono ingenti”.
[31] George Bush il primo
maggio 2003 dalla portaerei Lincoln, che nel suo discorso afferma: “il nostro
obiettivo è la creazione di un medio Oriente come area di libero scambio con
gli Stati Uniti entro un decennio”. La strategia viene anche scritta nero su
bianco in un documento del G8, per la precisione durante il G8 del giugno del
2004 a Sed Island in Georgia, intitolato G8-Great Middle East Partnership dove,
sotto il titolo “opportunità economiche”, vi si legge una strategia per il
Medioriente che punta ad una trasformazione economica dell’area simile, in
grandezza, a quella intrapresa dai paesi ex comunisti dell’area centrale ed
orientale dell’Europa.
[32] La citazione di
Juan Bautista Alberdi proviene da Fragmento preliminar al estudio del derecho ,
Hachette, Buenos Aires 1955, p. 73. In Luigi Zoja, La morte del prossimo,
Einaudi, 2010.
[33] Ibidem.
[34] Vitalij
Tret’jakov, Mosca e Washington incompatibili sul pianeta terra, in Limes
n. 2/2017, Chi comanda il mondo.
[35] Ibidem.
[36] Fabio Mini, Che
guerra sarà, Il Mulino, 2017.
[37] Dario Fabbri, Fomenta
e domina, il progetto degli Usa in Ucraina, in Limes, L’Ucraina tra noi e
Putin, n. 4/2014
[38] Zolo, Danilo. La
giustizia dei vincitori: Da Norimberga a Baghdad, Editori Laterza, 20114. Edizione digitale.
[39] Basti qui citare
tre casi. Per quanto concerne la guerra in Kuwait, il 10 ottobre 1990
un’infermiera di un ospedale di Kuwait City venne portata davanti al Congresso
degli Stati Uniti. L’“infermiera Nayirah”
raccontò, fra le lacrime, come alcuni soldati iracheni, entrati nella struttura
presso cui lavorava, avessero tolto dalle incubatrici decine di neonati
scaraventandoli a terra e lasciandoli morire sul pavimento. Sull’onda emotiva
di quel racconto, il Congresso approvò l’intervento militare in Iraq. Terminato
il conflitto, però, la storia di quelle atrocità non trovò alcuna conferma da
parte dei medici che avevano lavorato presso l’ospedale in cui i fatti si
sarebbero svolti. Nayirah, in realtà, non era un’infermiera, ma la figlia quindicenne
dell’ambasciatore del Kuwait negli Stati Uniti - Saud Nasir al-Sabah, membro della casa reale del Kuwait.
La falsa testimonianza fu organizzata dall’agenzia di pubbliche relazioni Hill
and Knowlton: «...che ricevette un
compenso di 10 milioni di dollari per aver presentato così il caso Kuwait». In Jonathan Glover, Humanity. Una storia morale del ventesimo secolo,
il Saggiatore, Milano, 2002, pg. 222. Per
quanto concerne il falso massacro di Račak del 1999, che ha fornito il pretesto
per la guerra in Kosovo: “I quarantacinque
corpi di civili trovati morti in un fosso non erano il risultato di un eccidio
serbo perpetrato in una notte di tregenda, ma l’esito della raccolta di corpi
di ribelli ammazzati nel corso di un mese di combattimenti in un’area molto
vasta. Le bande Uck, con la consulenza di agenti segreti stranieri,
realizzarono la messinscena raccogliendo i corpi sparsi, cambiando loro i
vestiti e togliendo le armi. L’ambasciatore William Walker, l’americano che
dirigeva la missione di verifica dell’Ocse, con l’aiuto di una novantina di
mercenari, ex agenti federali o della Cia, avallò la tesi dell’eccidio con la
complicità di una patologa finlandese, che non pubblicò mai l’esito degli esami
condotti dal suo team. Anni dopo, saranno gli stessi membri del team a fornire
i risultati, senza rinunciare però all’ipocrisia: li pubblicheranno come studio
su un’ignota rivista di patologia canadese, facendo attenzione a non mettere
troppo in risalto il fatto che la tesi dell’eccidio si era rivelata
insussistente. Sarà troppo tardi. Il pretesto aveva già fatto precipitare la
situazione e ai colloqui di Rambouillet, che dovevano trovare una soluzione
pacifica alla crisi kosovara, gli Stati Uniti aggiunsero alla menzogna
l’ipocrisia presentandosi con delle proposte semplicemente inaccettabili da
parte di qualsiasi paese”. In Fabio Mini, Perché siamo così ipocriti sulla guerra. Un generale della NATO
racconta, Chiarelettere editore, edizione digitale, maggio 2012. (Il
Generale Mini ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani.
Dall'ottobre 2002 all'ottobre 2003 è stato comandante delle operazioni di pace
a guida NATO, nello scenario di Guerra in Kosovo nell'ambito della missione
KFOR (Kosovo Force). O ancora il caso delle armi di distruzioni di massa, per
dichiarare guerra all’Iraq, in cui noi siamo stati protagonisti avendo
confezionato, e consegnato alla Cia, il falso dossier circa l’importazione di
uranio dal Niger da parte di Saddam Hussein. È lo scandalo Nigergate: “Fabbricate a Roma in maniera goffa e artigianale
le prove su Saddam. Storia del falso dossier uranio che il Sismi spedì alla Cia”.
Carlo Bonini e Giuseppe d’Avanzo, in Repubblica, 24 ottobre 2005.
[40] Fedele Ruggeri e Vincenzo Ruggieri, a cura di, Potere e violenza. Guerra, terrorismo e
diritti. Franco Angeli edizioni, 2009, edizione digitale: Le nuove guerre
mirano alla la de-modernizzazione dell'avversario, conseguita attraverso la
distruzione delle infrastrutture, l'attacco alla salute del nemico… il problema
non è mirare al nemico né, sbagliando deliberatamente mira, produrre danno
collaterale, ma colpire con precisione la salute pubblica attraverso la
distruzione sistematica della rete elettrica, che blocca gli impianti per la
purificazione dell'acqua e per il trattamento dei rifiuti fognari, a causare
gastroenteriti, tifo e colera… è un dominio che si esprime come forma di
biopotere, mirato al controllo dei corpi, di intere popolazioni e della loro
capacità di riprodursi… Gli
acquedotti, le fogne, l'agricoltura, la distribuzione degli alimenti e dei
combustibili sono gli obiettivi privilegiati, in quanto la loro distruzione
permette di dilazionare la morte. Vi bombardo oggi, morirete domani. L'intero
paese viene piegato «dalle malattie e dalla fame, e gli innocenti non vengono
risparmiati: questa strategia uccide deliberatamente i più giovani, i più
vecchi e i più deboli”.
[41] In Iraq i soldi della coalizione per la ricostruzione del
paese, circa 23 miliardi, sono, nella quasi totalità, spariti. Gli osservatori
ufficiali dell’ONU non sono riusciti a scoprire che fine abbiano fatto i soldi.
Robert Isakson, direttore esecutivo per la ricostruzione in Iraq afferma che a
dirigere la ricostruzione non solo venivano messe persone assolutamente
inesperte ma politicamente fedeli ai vari governi ma, gli appalti, andavano a
uomini che: “erano ufficiali militari,
membri della Cia ed erano appoggiati e raccomandati dall’alto. Vi erano persone
che facevano parte della coalizione nonostante precedenti condanne per frode.
Gli appalti venivano affidati a persone senza fondi, senza capacità e senza
personale”. In Dove sono finiti i soldi? Documentario di RaiTre, dal 25
ottobre 2006. Fedele Ruggeri e Vincenzo Ruggieri, 2009: “In termini quantitativi, le irregolarità
finanziarie riscontrate in Iraq vengono ritenute pari a quelle che si
riscontrano in media negli Stati Uniti in un intero ventennio”.
[42] Ibidem: “De-modernizzare
per poi ri-modernizzare, attraverso interventi che ripareranno quanto si è
distrutto, con contratti e investimenti che ricostruiranno quelle
infrastrutture deliberatamente abbattute. Si crea in questa maniera una logica
continuità tra spazio della guerra e spazio della pace, tra attori bellici e
gruppi di civili, mentre i paesi nemici, azzerati, offriranno il massimo
potenziale predatorio ai grandi gruppi industriali. La situazione criminogena
prodotta non incoraggia esclusivamente le illegalità convenzionali, ma anche e
in maggior misura quelle di stato, di impresa, e in genere la criminalità che
definiamo ti tipo economico. Il coinvolgimento diretto di compagnie private,
agenzie per la sicurezza, e aziende che forniscono servizi militari e
consulenza paramilitare, suggerisce la creazione di un apparato dai contorni
vaghi nel quale militarismo missionario, imprenditoria predatoria e corruzione
dei mercati convivono in una miscela davvero inedita”.
[43] Facciamo degli esempi. Con l’Accordo di Dayton, firmato il
21 novembre 1995, è entrata in vigore la Costituzione della Bosnia-Erzegovina.
Costituzione bosniaca scritta all’estero da non bosniaci. Carta che, nei fatti,
ha reso la Bosnia-Erzegovina un moderno protettorato. Con la nuova carta
fondamentale, infatti, viene, imposta alla Bosnia-Erzegovina un’amministrazione
neocoloniale tutelata dallo sguardo vigile dell’Alleanza atlantica. La banca
centrale di Bosnia è stata affidata a stranieri scelti attraverso una selezione
coordinata tra Stati Uniti, UE e FMI. Ma anche nel Kosovo è successa la stessa
cosa, anche qui è stato instaurato un protettorato della NATO. Terminata la
guerra, infatti, è stata creata una Amministrazione ad interim delle Nazioni
Unite in Kosovo (United Nations Interim Administration in Kosovo, UNMIK), che
ha governato gli affari interni del Kosovo dal 1999 al 2008. Da quel punto in avanti la direzione in campo
economico e fiscale della politica kosovara è stata decisa da Stati Uniti e UE. L’UNMIK ha sostituito il dinaro jugoslavo col
marco tedesco come valuta ufficiale il 9 settembre 1999, ed ha incoraggiato la
gente del Kosovo a utilizzare nei propri affari diverse valute straniere,
andando in questa maniera a indebolire ulteriormente la Jugoslavia. Di fatto
l’UNMIK risponde del proprio operato alla UE e gran parte dei suoi compiti
amministrativi sono poi passati, nel dicembre 2008, alla Missione dell’Unione
Europea per lo stato di diritto in Kosovo (European Union Rule of Law Mission in
Kosovo, EULEX), insomma garanti della legge e dell’ordine in Kosovo sono truppe
Nato ed agenti di polizia della UE. Oltre a ciò, sono state installate in quei
territori occupati numerosissime basi militari. Basti pensare che in Kosovo, in
una zona grande come l’Abruzzo, sono state dislocate 117 installazioni
militari. La più grande è Camp
Bondsteel, a pochi chilometri da Uroševac-Ferizaj. Camp Bondsteel è divenuta, nel tempo, una
delle basi militari e uno dei luoghi di transito più importanti del Pentagono
per le sue operazioni in Medio Oriente e Asia centrale. “Quando gli americani scelsero l’area dove
costruirla non chiesero il permesso a nessuno. Kellogg Brown & Root (Kbr),
la potente sussidiaria della petrolifera Halliburton che si occupa anche di logistica
militare, e il 94° Battaglione genio costruzioni dell’esercito americano, si
presero due colline e le sbancarono”, in Fabio Mini, Soldati, Einaudi,
2008. Cfr. M. Darius Nazemroaya. La Globalizzazione della Nato. Arianna
Editrice, 2014.
[44] Fedele Ruggeri e Vincenzo Ruggieri, 2009.
[45]Ibidem: “massima
espressa, in occasione della guerra per il Kosovo, dal giurista statunitense
Michael Glennon”.
[46] Nel discorso ufficiale all’Assemblea generale delle
Nazioni Unite del 20 settembre 1999, Annan ha giustificato con lo «stato di
necessità» l’intervento militare della NATO in Kosovo in assenza di un mandato
del Consiglio di Sicurezza.
[47] Le fuel-air explosives
sono ordigni costituiti da un contenitore di liquido altamente infiammabile.
Sganciato l'ordigno, a pochi metri da terra il liquido forma un aerosol e,
quindi, viene incendiato contemporaneamente da più cariche a basso potenziale.
La detonazione oltre alla forte onda d'urto sviluppa un'altissima temperatura
consumando istantaneamente tutto l'ossigeno nell'area interessata, unendo così
all'onda d'urto e all'effetto termico dell'esplosione, l'impossibilità di
sopravvivenza per mancanza d'ossigeno. Il calore generato dalla detonazione è
tale da uccidere le persone presenti nell'area colpita, e l'onda d'urto
associata distrugge gli edifici nella zona, ma (diversamente da ciò che si
verifica con l'esplosione di un ordigno nucleare) senza che vi sia nessuna
contaminazione radioattiva a lungo termine della zona colpita e di quelle
limitrofe. Per avere una idea del potenziale distruttivo di queste bombe si
pensi che nel caso del tremendo incidente di Viareggio, avvenuto il 29 giugno
2009, si è creato un effetto chimico-fisico simile a quello creato dalle bombe
di cui sopra.
[48] Le daisy-cutter, c.d. bombe taglia margherite, sono bombe
di quasi quasi 7 tonnellate. Contengono oltre 5 tonnellate e mezza di potente
esplosivo gelatinoso a polvere di alluminio. Sganciata da un aereo C-130,
scende verso terra frenata da un paracadute e, giunta in prossimità del suolo,
esplode. L'esplosione è simile a quella di una bomba atomica, salvo l'effetto
delle radiazioni: Lo spostamento d'aria, con venti di centinaia di km orari,
scaglia i detriti verso l'esterno, trasformandoli in proiettili mortali. Mentre
si leva in cielo una enorme nuvola a forma di fungo, il boato si ripercuote a
decine di chilometri di distanza. Per avere un'idea del suo raggio distruttivo,
basti pensare che l'aereo, pur allontanandosi mentre la bomba scende frenata
dal paracadute, non la può sganciare da un'altitudine inferiore ai 2mila metri,
perché altrimenti sarebbe distrutto dalla potenza dell'esplosione. Undici bombe
di questo tipo furono usate nella guerra del Golfo, nel 1991, facendo strage di
soldati e civili iracheni.
[49] Zolo, Danilo, 2014.
[50] Come nel caso degli ardigli al fosforo bianco, usati a
Falluja, come ci racconta il generale Mini nel suo libro Soldati: “Tra le vittime, combattenti e non
combattenti, si sono trovati molti cadaveri letteralmente abbrustoliti. Il
capitano di artiglieria Cobb è un professionista che descrive con dovizia di particolari
come sia riuscito a gestire il fuoco in sostegno alla sua Tf, che attaccava nel
settore meno profondo…Una concentrazione di fuoco maggiore di quella che ha
raso al suolo Dresda e Tokyo durante la Seconda guerra mondiale. In questa
situazione il capitano Cobb è particolarmente soddisfatto dell’impiego del
munizionamento al fosforo bianco, che è legalmente convenzionale anche se
«speciale». Il tecnoburocrate si è infatti scoperto fantasista. Non ha
impiegato il fosforo per le sue funzioni previste (nebbiogene e per la
segnalazione di obiettivi), ma per missioni letali. Ha alternato munizioni al
fosforo con quelle ad alto esplosivo per combinare due effetti, quello
psicologico e chimico del primo per snidare il nemico, e quello del secondo per
eliminarlo definitivamente: in gergo, shake and bake. Un termine noto alle
massaie americane quando mescolano e agitano il pangrattato con le cosce di
pollo prima di metterle al forno. La missione shake and bake, che non è
codificata da alcun manuale, così come è stata descritta dal capitano e da
altre fonti militari, comporta l’uso deliberato del fosforo sull’avversario
(combattente e non combattente) per indurlo allo scoperto o per «cuocerlo al
forno». Il fosforo non è un fumogeno,
non emette un prodotto di combustione, ma crea un aerosol denso perché le
particelle di fosforo sono altamente igroscopiche e assorbono in un attimo
tutta l’umidità presente nell’aria. Nelle case e nei seminterrati è più umido e
fresco, e il fosforo si alimenta piú velocemente. La nebbia rilascia acido
fosforico, che è tossico, ma, soprattutto, il processo sviluppa calore fino a
«cuocere» le persone”. O le cluster bombs, bombe a frammentazione. In Iraq
ne sono state usate circa 1400 “in violazione del trattato internazionale che
proibisce l’uso di mine anti-uomo e che era stato sottoscritto da tutti i paesi
impegnati nell’azione militare della NATO, con la sola eccezione degli Stati
Uniti”. .Le cluster bombs sono armi di grande dimensione contenenti al loro
interno dozzine o centinaia di ordigni che costituiscono un rischio per i
civili a causa della loro larga dispersione e dell’elevato numero di ordigni
che non esplodono al momento dell’impatto, così continuando a seminare morti e
feriti anche dopo il conflitto. O ancora le bombe ad uranio impoverito
(depleted uranium). Oltre trentamila ne sono state usate sul territorio
jugoslavo, in particolare nel Kosovo, come confermato dal Segretario della
NATO, George Robertson. Dopo l’esplosione della testata, a contatto con corpi
solidi, l’uranio si diffonde in forma di finissima polvere radioattiva. La
polvere contamina il suolo, l’acqua e l’aria e si inserisce nella catena
alimentare producendo un aumento della radioattività ambientale la quale può
generare tumori maligni, leucemie, malformazioni dei feti, malattie infantili,
come ben sanno molti dei nostri militari italiani morti di tumore per aver
respirato le polveri di quelle bombe”. In
Zolo, 2014.
[51] Danilo Zolo, Terrorismo
umanitario. Dalla guerra del Golfo alla strage di Gaza, Diabasis editore,
2009: “ le : “… fuel-air explosives “usate nella nottata conclusiva dell’offensiva
terrestre, quando la disfatta dell’esercito iracheno era ormai acquisita.
Tristemente famosa è la strage di migliaia di civili arabi, in gran parte
palestinesi, sudanesi ed egiziani, in fuga con mezzi di fortuna
sull’“autostrada della morte” che collega la capitale del Kuwait alla città
irachena di Bassora. Jeffrey Smith, corrispondente del Washington Post , ha
scritto che l’intero fronte iracheno è stato sottoposto a bombardamenti
intensivi anche con bombe BLU-82, contenenti fuel-air explosives (si veda:
Washington Post , 23 febbraio 1991). Secondo la rivista Soldier of Fortune
(luglio 1992) almeno undici bombe BLU-82 sono state sganciate fra il 7 febbraio
e l’inizio del grande assalto terrestre. Cfr. inoltre A. Whitley, “Kuwait: the
last forty-eight hours”, New York Review of Books , 30 maggio 1991, pp. 17-8.
[52] La decisione di
sganciare la “bomba” -
e di sganciarla sul Giappone, non sulla Germania o sull’Italia - venne presa già il 05 maggio del
1943 dalla Military Politicy Committee. Il 1 luglio 1946 il Pacific War
Strategic Bombey Survey concluse, poi, che la guerra sarebbe sicuramente
terminata entro il 1945, e con tutta probabilità entro ottobre, anche senza
l’atomica, senza minaccia di invasione e, addirittura, senza l’entrata in
guerra contro il paese del Sol Levante dell’Unione Sovietica.
[53] Zolo, 2009: Ibidem: “La
guerra per il Kosovo ha definitivamente consacrato la prassi dell’interventismo
umanitario, assumendo nel modo più esplicito la motivazione umanitaria come
justa causa di una guerra di aggressione”. Un inganno. Le guerre si
combattono per interesse, per nessun altro motivo: “L’unica volta che le truppe
degli Stati Uniti hanno combattuto unicamente per fini umanitari è stato a
Mogadiscio, in Somalia, nel 1993. Dopo la morte in battaglia di diciotto
americani, il presidente Clinton ha ritirato in fretta e furia tutte le forze di
combattimento USA. Lui e i suoi più stretti collaboratori erano talmente
spaventati da ciò che era accaduto in Somalia che l’anno dopo si sono rifiutati
di inviare truppe in Ruanda per mettere fine al genocidio, anche se la missione
avrebbe fatto poche vittime tra i soldati americani”. In Mearsheimer, 2019.
[54] Luigi Zoja, Paranoia,
Bollati Boringhieri, 2011: “...un programma così grave che la sua patologia
lascerà a lungo il segno nella politica estera americana e quindi anche nelle
relazioni internazionali... Nel documento, infatti: «...si sottolinea che i
veri pericoli per l’America non stanno più in potenze rivali, ma negli
“Stati-canaglia” (rogue States) e nei gruppi terroristici. Il documento suppone
(senza fornire prove) che il loro scopo principale sia procurarsi tecnologie
pericolose (non vi si parla di attacchi all’America ma di una loro preparazione
invisibile, immaginata già in corso). Gli Stati Uniti devono agire prima che la
fase preparatoria si completi. Non ci si propone, dunque, di sconfiggere il
nemico, ma i suoi piani (to defeat our enemies’ plans), anche se questi piani
non sono conosciuti né conoscibili. Bisogna cioè prevenirlo (prevent the spread
of weapons of mass destruction)... Gli stessi termini “terrorismo” e “rogue
States” sembrano tautologie vaghissime, ma rispondono alla funzione di alludere
sempre a complotti e attività misteriose che non si possono altrimenti
precisare. Notiamo di sfuggita che persino l’attacco nazista agli ebrei era, in
questo senso, più oggettivo. Le sue premesse erano deliranti, ma in qualche
modo esso definiva il nemico”.
Questo folle documento, che non
indica più un nemico, e autorizza una guerra sul semplice sospetto, permette a
Bush, nel 2003, di dichiarare guerra all’Iraq perché, si sostiene, si voglia
dotare di armi di distruzione di massa. Un semplice sospetto, poi dimostratosi
infondato: gli ispettori dell’ONU non trovarono traccia delle famigerate armi
di distruzione di massa.
“A fronte di questo clamoroso
errore, che ha causato oltre un milione e mezzo di morti, gli Stati Uniti,
anziché fare autocritica, sorprendentemente confermano, nella seconda edizione
del documento sulla Strategia per la Sicurezza Nazionale gli Stati Uniti
d’America (marzo 2006), lo stile persecutorio e patologico: “«First, our
intelligence must improve (Primo, il nostro spionaggio deve migliorare);
Second, there will always be some uncertainty about the status of hidden
programs (Secondo, vi sarà sempre un certo grado di incertezza sulla condizione
di programmi nascosti) ». E come potrebbe esserci certezza, se sono nascosti?
Il documento non sembra scritto dal governo della più antica democrazia
occidentale, ma da monsieur de Lapalisse. Il paese che più influisce sugli
equilibri del mondo ha così creato un impressionante precedente, imponendo, in
modo unilaterale e con uno stile affine alla più grave forma di psicopatologia,
la modifica delle norme internazionali che hanno retto il mondo dalla pace di
Westfalia in poi. Il diritto di attaccare un altro paese in assenza di una
minaccia visibile e provata è il diritto di attaccare qualunque paese in
qualunque momento, sulla base della rivalità, del contrasto di interessi, del
sospetto, di motivazioni soggettive e persecutorie”.
[55] Ibidem.
[56] Nafeez Mosaddeq
Ahmed, Dominio. La guerra americana all’Iraq e il genocidio umanitario,
Fazi editore, 2003.
[57] Ibidem
[58] MacMillan, Margaret. 1914:
Come la luce si spense sul mondo di ieri. Rizzoli, 2020. Edizione digitale.
[59] Martti Koskenniemi, Il mite civilizzatore delle
nazioni. Ascesa e caduta del diritto internazionale 1870-1960, Laterza,
2012.
[60] Rodogno, Davide. Contro il massacro: Gli interventi
umanitari nella politica europea 1815-1914. Editori Laterza, 2012: “Dopo
ogni crisi internazionale o intervento umanitario i diplomatici e i sedicenti
esperti in affari turchi imposero alle autorità ottomane nuove legislazioni
ispirate a modelli politico-amministrativi europei che avrebbero dovuto
garantire uguaglianza e libertà a tutti i soggetti ottomani ed evitare nuovi
massacri. Questo non impediva che, trovandosi ad amministrare territori ex
ottomani come l’Algeria o l’Egitto, gli europei governassero in modo più
intollerante, discriminatorio e dispotico dei turchi. Non è errato dire che gli
europei intervennero militarmente quando i «barbari» ottomani applicarono gli
stessi metodi «selvaggi» che i primi adottavano sistematicamente nelle proprie
colonie africane e asiatiche. Bass ha constatato che dopo gli eccidi di britannici
a Delhi e Kanpur, nell’estate del 1857, le autorità britanniche massacrarono in
modo sadico centinaia d’indiani, bruciando vivi donne e bambini e cospargendo i
musulmani con grasso di maiale prima di ucciderli”.
[61] Ibidem: “Quando terminò la spartizione dell’Africa, più
del 75% delle acquisizioni territoriali britanniche a sud del Sahara era stato
effettuato da compagnie privilegiate. La colonizzazione tedesca seguì percorsi
analoghi. Nei celebri manifesti imperiali del 1884 e del 1885 Bismarck ribadì
la sua ferma opposizione al «sistema francese». Il territorio che in seguito
divenne l’Africa Sud-occidentale tedesca fu acquisito da un mercante di tabacco
di Brema, Adolf Lüderitz.” In Koskenniemi, 2012.
[62] In India, nel solo ultimo quarto del XIX secolo sarebbero
morte tra i 12,2 e i 29,3 milioni di persone: malgrado le carestie fossero
ricorrenti, non si creavano adeguate scorte perché la produzione agricola
doveva nutrire la Gran Bretagna. Sappiamo che le razioni alimentari dei campi
nazisti erano intenzionalmente insufficienti perché, coerentemente con le
premesse socialdarwiniane, dovevano contribuire all’eliminazione dei più
deboli. Eppure in India l’amministrazione coloniale inglese arrivò a fornire, per
lavori manuali pesanti, razioni inferiori a quelle del lager di Buchenwald nel
1944-45, il periodo in cui la Germania nazista soffrì la massima penuria.
[63] Lo Stato si limitava ad adottare disposizioni legislative
all’ombra delle quali il commercio privato e lo sviluppo economico,
l’istruzione e il rinnovamento tecnologico potevano essere intrapresi per mezzo
di società con finalità commerciali o umanitarie. Più o meno la stessa cosa che
accade oggi con il “nuovo colonialismo” che consiste nello sfruttamento
“indiretto” delle ricchezze dell'Africa attraverso ricche compagnie petrolifere
e minerarie, governi locali “amici” e/o “corrotti”, potentati economici, ecc.
[64] Zoja, Luigi. Paranoia. Bollati Boringhieri.
Edizione digitale.
[65] Augusto Pierantoni, Storia
del diritto internazionale del XIX secolo, Marghieri, 1876, pg. 6.
[66] Tra questi Louis Renault, premo Nobel per la pace nel
1907, che aveva evidenziato come gli Stati Europei avessero troppo spesso
abusato del loro potere contro i «cosiddetti barbari» e avessero mosso contro
di loro guerre ingiuste, violando le più elementari regole del diritto
internazionale. Ma si trattava di una critica generica contenuta in un manuale
non poteva tuttavia considerarsi una seria forma di resistenza alla
colonizzazione. Renault era del resto pienamente favorevole alla giurisdizione
consolare francese in Turchia e in Cina. In L. Renault, Introduction à l’étude
du droit international [1879], in L’œuvre internationale de Louis Renault,
Éditions internationales, Paris 1932, pp. 11-12, 17
[67] J. Westlake, Chapters
on the Principles of International Law, Cambridge University Press,
Cambridge 1894, pg. 143: “…il diritto internazionale deve trattare gli indigeni
come popoli non civili. Esso regola, a reciproco beneficio degli Stati civili,
le pretese sovrane che questi avanzano nella regione e lascia la questione del
trattamento degli indigeni alla coscienza dello Stato cui è attribuita la
sovranità”.
[68] Nitti, Francesco Saverio. L'Europa senza Pace: Nuova edizione con uno scritto di Giulio
Sapelli (Sulle orme della Storia). goWare, 2014. Edizione digitale.
[69] Taylor, Alan John Percival, War by Time-Table. How the
First World War Began, n. ed. Pen & Sword Books, Barnsley 2005. In
Zoja, Paranoia, cit.
[70] Pareto, Vilfredo. La
Prima guerra mondiale: Le cause, le conseguenze. Editrice La Scuola, 2015.
[71] Gozzi, Gustavo. Diritti e civiltà: Storia e filosofia
del diritto internazionale, Il Mulino, 2011. Edizione digitale: “l’accento
fu posto, come avverte Ben Achour, non tanto sui diversi gradi di civiltà,
quanto piuttosto sui concetti di «nazioni sviluppate» e di «nazioni arretrate».
«Questa idea non implica più il giudizio sugli elementi di ordine culturale,
spirituale, religioso, artistico, che caratterizzano le nazioni, ma sugli
elementi di ordine economico, tecnologico, industriale o amministrativo e
militare [...] Stanno per nascere le idee di sviluppo e sottosviluppo».
[72] Danilo Zolo, La
conquista neocoloniale della Libia: “La guerra contro la Libia, decisa nel
marzo 2011 dagli Stati Uniti d'America, con la collaborazione della Francia,
dell'Inghilterra e dell'Italia, è stata ed è tuttora una delle molte guerre
volute dalle potenze occidentali. E si è trattato di guerre del tutto illegali.
Sarebbe del resto molto ingenuo aspettarsi che le grandi potenze rispettino le
norme del diritto internazionale, in particolare le prescrizioni della Carta
delle Nazioni Unite e delle Convenzioni di Ginevra. L'aggressione bellica e
l'uso delle armi contro le popolazioni civili sono una pratica che ormai
potremmo chiamare ironicamente "umanitaria"…Quale può essere la
ragione di questa carneficina? Non è difficile individuarla. La guerra
scatenata dagli Stati Uniti contro la Libia aveva un obiettivo preciso: il
controllo delle preziose risorse libiche di petrolio e di gas naturale. Le riserve
di petrolio della Libia sono stimate in 60 miliardi di barili e sono
notoriamente le più importanti dell'Africa, mentre i costi di estrazione sono i
più bassi del mondo. E le riserve di gas naturale sono stimate in circa 1.500
miliardi di metri cubi. Ma nel mirino dei "volenterosi" che hanno
impugnato le armi contro la Libia c'erano anche i "fondi sovrani"
libici: si trattava dei capitali gestiti dalla Libyan Investment Authority,
stimati in oltre 150 miliardi di dollari, che sono stati prontamente
"congelati" dalle potenze occidentali prima di decidere l'attacco
militare”. In http://www.juragentium.org/topics/wlgo/it/libia.htm
[73]
J. M. Keynes, Autosufficienza
nazionale (1933) in ID, La fine del laissez-faire e altri scritti, Bollati Boringhieri, 1991, pg. 95 e 97.
[74] Nei call center e
nei magazzini delle grandi multinazionali del commercio si è tornati
all’alienazione così ben descritta da Georg Simmel dell’uomo con l’orologio in Le
metropoli e la vita dello spirito, Armando Editore, 1995.
[75] Trump fa la gara
con Kim Jong-un: “Il mio bottone nucleare più grande del tuo”. In Il Fatto Quotidiano, 3 gennaio 2018: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/03/trump-fa-la-gara-con-kim-jong-un-il-mio-bottone-nucleare-piu-grande-del-tuo-poi-minaccia-di-tagliare-gli-aiuti-ai-palestinesi/4070639/
[76] Mini, Fabio, 2017.
[77] Ibidem: “I tre principali
leader del mondo perseguono una politica di nazionalismo nostalgico e imperiale
(«America first», «China first», «Russia first»). Lo slogan elettorale di Trump
è stato «Let’s make America great again», simile a quello di Putin, che vuole
la Russia di nuovo grande, e a quello di Xi Jinping, che vuole la Cina di nuovo
grande”
[78] Ibidem: “L’Africa
è il continente più depredato e martoriato del globo. Le due grandi potenze
globali che si dichiarano anti-imperialiste e anticolonialiste hanno messo da tempo
occhi e artigli sul continente. Ognuna a modo proprio, Cina e America stanno
preparando un confronto/scontro per lo sfruttamento ulteriore del continente.
Alla penetrazione cinese in Africa gli Stati Uniti hanno contrapposto
l’intervento militare costituendo il Comando unificato per l’Africa. La Cina è
riluttante ad accettare la sfida militare in Africa, ma non si sottrae al gioco
duro. Sta cercando di costruire una base militare vicino a Gibuti dove c’è la
più grande base americana in Africa e sta trattando per inviare truppe in Sud
Sudan a proteggere le proprie installazioni petrolifere”.
[79] Ibidem: “La
proliferazione e la privatizzazione degli interessi hanno reso lo scontro
globale ancor più sotterraneo e letale. I protagonisti non sono gli Stati, ma i
detentori del potere finanziario ed economico, le organizzazioni private che
hanno propri strumenti politici e militari o che controllano gli strumenti
statali di vari paesi”.
[80] Africa in vendita
in cambio di cibo, in La Stampa, 26 maggio 2009, Africa in vendita in cambio di
cibo: http://www.lastampa.it/2009/05/26/esteri/africa-in-vendita-in-cambio-di-cibo-5H1zy6YYRkLSbjDT5BvozM/pagina.html
[81] Zoja, Luigi. Utopie minimaliste: Un mondo più
desiderabile anche senza eroi. Chiarelettere, 2013. Edizione digitale: “I
giovani che in Europa vengono chiamati neet (not in employment, education or
training) e hikikomori in Giappone (dove per la prima volta il fenomeno ha
assunto dimensioni di massa) sono considerati dalle statistiche ufficiali un
nuovo «male» di tutta la società avanzata. Il giovane neet, che spesso ha
compiuto o addirittura terminato brillantemente gli studi superiori, non si
inserisce nella società «normale» e non cerca veramente un impiego”. Zoja,
Luigi. Psiche. Bollati Boringhieri. Edizione digitale: “L’Italia ha sia una
delle maggiori quantità assolute di neet (oltre due milioni), sia una delle
maggiori percentuali europee (22,7 per cento, seconda solo alla Bulgaria)...Il
ritiro di masse di giovani dalle passioni, dall’impegno politico, dalla
sessualità, dalla esistenza sociale e dalla vita stessa, sembra rappresentare
lo stadio massimo della disanimazione del mondo. Vengono riassorbite fin dove è
possibile le proiezioni e i coinvolgimenti emotivi da ciò che circonda il
soggetto. Si tratta di un capitolo fondamentale della psicoanalisi che ancora
non è stato scritto”.
[82] MacMillan, Margaret, 2020.
[83] I dati statistici sull’indice di natalità delle maggiori
nazioni del continente mostravano che da qualche decennio, dopo un secolo di
straordinaria crescita demografica, c’era una diminuzione delle nascite, in
larga parte dovuta a una scelta volontaria. Nello stesso periodo, le
popolazioni di altri continenti, in Asia e nelle Americhe, continuavano ad
aumentare mantenendo alto l’indice di natalità. Nelle colonie dell’Europa
imperiale, poche migliaia di bianchi, funzionari e soldati, dominavano su
milioni di indigeni di altre razze, in continuo aumento. La morte di tutte le
civiltà, affermava Gobineau, era dovuta a una causa generale e comune, che non
era necessariamente il fanatismo, il lusso, la corruzione dei costumi,
l’irreligione, la politica di cattivi governanti, come sostenevano altri
profeti della decadenza, ma era la degenerazione della razza attraverso la
mescolanza con altre razze. E poiché la mescolanza etnica era inevitabile in
ogni popolo che si sviluppava attraverso l’espansione, inevitabile era la sua
morte. Questo era il destino della civiltà europea, generata dalla razza
ariana, che aveva esteso il suo dominio in tutto il mondo, e proprio per questo
aveva continuato a perdere la sua integrità. «Non si può allontanare il male,
esso è inevitabile.» In Joseph-Arthur de
Gobineau, Saggio sulla diseguaglianza
delle razze umane. Rizzoli, 1998, pg. 60
[84] Jacques Attali, E.
Bitossi, Domani, chi governerà il mondo?
Fazi Editore, 2012. Edizione digitale.
[85] Grossi, Paolo. L'Europa
del diritto. Editori Laterza, 2016. Edizione digitale.